Omelia dell’arcivescovo Ivan Maffeis per il suo ingresso a Città della Pieve pronunciata nella concattedrale dei Ss. Gervasio e Protasio, sabato 17 settembre 2022

«La vita di ciascuno è un bene del quale non siamo padroni,

ma semplici amministratori; un bene da gestire al meglio, sapendo di doverlo poi restituire…»

 

Sono contento di iniziare il mio servizio episcopale in mezzo a voi, in questo borgo antico, che affascina con i suoi vicoli e i suoi edifici, con la storia e la cultura che vi si respirano e che parlano nei mestieri tradizionali e nella produzione di spezie pregiate, fino alle opere e ai capolavori d’arte, a partire da quelli del Perugino, il pievese più illustre, Pietro Vannucci.

Ringrazio, quindi, ciascuno di voi per la vostra cordiale accoglienza; un pensiero particolare al parroco, don Simone, a don Samy, ai concelebranti, al Signor Sindaco e a tutte le Autorità presenti.

Il nostro pensiero, fraterno e solidale, va alle popolazioni delle Marche, fortemente provate dalle devastanti conseguenze di una pioggia alluvionale.

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La Parola del Signore ci viene incontro con la parabola di un amministratore che, chiamato a rendere conto del proprio operato, non tenta nemmeno di negare le proprie colpe: sa di essere in difetto e si adopera per salvare se stesso. Lo fa convocando le persone che avevano contratto un debito con il suo padrone e applicando loro una sorta di condono, una riduzione significativa di quanto avrebbero dovuto restituire. Compie un falso in bilancio, con la speranza di comperarsi in questo modo la riconoscenza di quanti favorisce.

Almeno a una prima lettura, un simile racconto lascia perplessi e sconcertati: non perché quest’agire truffaldino non possa ripetersi anche oggi, ma perché l’amministratore disonesto viene addirittura lodato dal padrone, lo stesso al quale aveva danneggiato le casse…

Cosa vuol dirci, in realtà, il Vangelo?

Sicuramente non approva un comportamento infedele e corrotto, giusta causa di licenziamento… L’amministratore è lodato per l’astuzia e l’abilità con cui cerca una soluzione con cui tutelarsi, con cui assicurarsi il futuro.

Come avviene con ogni amministratore, anche noi siamo stati destinatari di fiducia e abbiamo ricevuto un patrimonio in termini di affetti, relazioni, cultura, fede, salute, responsabilità: che ne abbiamo fatto? La vita di ciascuno è un bene del quale non siamo padroni, ma semplici amministratori; un bene da gestire al meglio, sapendo di doverlo poi restituire…

E allora: stiamo investendo sulla vera ricchezza – quella che rimane anche al di là del rapido mutare delle stagioni umane – o ci stiamo perdendo in cose da poco, in realtà effimere, magari illudendoci che l’evitare di pensarci consenta di spostare sistematicamente più in là il momento del rendiconto?

La parabola scuote l’inerzia di un vivere superficiale e distratto; ci provoca a non essere schiavi dei beni terreni, a non riporre in loro la nostra sicurezza, a non idolatrarli a tal punto da mandare in rosso altri valori, a partire dalla nostra relazione con gli altri.

Torniamo ad abitare davvero la vita, a partire dal rispetto e dalla cura per la giustizia: non a caso, il profeta Amos (I lettura) tuona contro l’avidità, la speculazione, l’inganno e lo sfruttamento fatti sulla pelle del povero.

Guardiamoci dentro e, soprattutto, guardiamoci attorno, lasciandoci interrogare da ciò che accade; educhiamoci alla condivisione e alla carità: per esprimerci con le parole della parabola, ci procureremo amici che nell’ultimo giorno saranno disposti ad accoglierci nella loro casa…