L’omelia dell’arcivescovo Ivan Maffeis per la Giornata mondiale del migrante e del rifugiato pronunciata alla celebrazione eucaristica nella chiesa parrocchiale di San Donato, domenica 25 settembre 2022

Ai nostri orecchi questa parabola stona non poco. Abituati come siamo all’immagine del Padre misericordioso – che attende il ritorno del figlio per far festa – o a quella del buon Pastore, che va addirittura a cercarlo e se lo carica sulle spalle pieno di gioia… questo racconto ci mette davanti alla serietà della vita e alla possibilità di perderla per sempre.

“C’era un uomo ricco”: il male non è costituito dalla ricchezza, ma dal fatto che il cuore di quest’uomo ruota soltanto attorno ai beni terreni, fino a trovare in loro la propria sicurezza, quella che gli consente di sentirsi padrone della propria vita.

E non forse questo il vero peccato?

Non è forse questo che acceca, impedendoci di riconoscere che – come ricordava la parabola di domenica scorsa – della vita noi siamo semplici amministratori; amministratori di un bene che nel volgere di poche stagioni siamo chiamati a restituire…?

Non è forse questo sguardo ottenebrato quello che troppe volte ci fa sentire come superfluo il rapporto con Dio e che ci impedisce di vedere l’altro, di lasciarci interrogare da quello che vive, dai suoi bisogni e dalle sue aspirazioni, di riconoscerlo come fratello?

“Erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe”, osserva la parabola, parlando di Lazzaro. A differenza dei cani, il ricco non vede, ha reso invisibile il povero; è un narcisista, tutto ripiegato su di sé, appagato, incapace di compassione e solidarietà.

“Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri”, ammoniva Amos (I lettura); “canterellano… bevono… si profumano… ma della rovina degli altri non si preoccupano”.

La verità delle cose diventa manifesta col sopraggiungere della morte. Morte che cristallizza definitivamente le scelte fatte in vita: l’indifferenza e l’egoismo, con cui si è vissuti, scavano un grande abisso, un fossato invincibile, insuperabile… E la morte rivela anche da che parte sta Dio: non abita alla tavola del ricco, non è nelle sue vesti lussuose, ma nelle piaghe di Lazzaro.

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Cara gente, il Vangelo non intende spaventarci, ma scuoterci, inquietarci, provocarci a riconoscere che, come scrive il Papa nel Messaggio per la Giornata del Migrante e del Rifugiato, “il senso ultimo del nostro viaggio in questo mondo è la ricerca della vera patria”.

In questa ricerca è luce la parola del Signore, che parla nelle Sacre Scritture, nella Chiesa, negli eventi, nei fratelli, a partire dai tanti Lazzaro che stanno alla nostra porta: poveri, migranti, sfollati, rifugiati, vittime della tratta, della miseria, dello sfruttamento, della guerra. La giustizia domanda ogni sforzo per includerli, riconoscendo e valorizzando quanto ciascuno di loro può portare alla crescita sociale, economica ed ecclesiale della nostra società.

Riflettiamo, pensiamo, confrontiamoci; ma non fermiamoci alle parole: “Nei momenti cruciali della storia, chi ha saputo lasciare una buona impronta lo ha fatto perché ha tradotto gli ideali, i desideri, i valori in opere concrete”, ha detto ieri Papa Francesco intervenendo ad Assisi.

 

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Concludiamo con la preghiera scritta dal Papa per questa Giornata:

 

Signore, rendici portatori di speranza,
perché dove c’è oscurità regni la tua luce,
e dove c’è rassegnazione rinasca la fiducia nel futuro.

Signore, rendici strumenti della tua giustizia,
perché dove c’è esclusione fiorisca la fraternità,
e dove c’è ingordigia prosperi la condivisione.

Signore, rendici costruttori del tuo Regno
Insieme con i migranti e i rifugiati
e con tutti gli abitanti delle periferie.

Signore, fa’ che impariamo com’è bello
vivere tutti da fratelli e sorelle. Amen.