Ai nostri orecchi questa parabola stona non poco. Abituati come siamo all’immagine del Padre misericordioso – che attende il ritorno del figlio per far festa – o a quella del buon Pastore, che va addirittura a cercarlo e se lo carica sulle spalle pieno di gioia… questo racconto ci mette davanti alla serietà della vita e alla possibilità di perderla per sempre.
“C’era un uomo ricco”: il male non è costituito dalla ricchezza, ma dal fatto che il cuore di quest’uomo ruota soltanto attorno ai beni terreni, fino a trovare in loro la propria sicurezza, quella che gli consente di sentirsi padrone della propria vita.
E non forse questo il vero peccato?
Non è forse questo che acceca, impedendoci di riconoscere che – come ricordava la parabola di domenica scorsa – della vita noi siamo semplici amministratori; amministratori di un bene che nel volgere di poche stagioni siamo chiamati a restituire…?
Non è forse questo sguardo ottenebrato quello che troppe volte ci fa sentire come superfluo il rapporto con Dio e che ci impedisce di vedere l’altro, di lasciarci interrogare da quello che vive, dai suoi bisogni e dalle sue aspirazioni, di riconoscerlo come fratello?
“Erano i cani che venivano a leccare le sue piaghe”, osserva la parabola, parlando di Lazzaro. A differenza dei cani, il ricco non vede, ha reso invisibile il povero; è un narcisista, tutto ripiegato su di sé, appagato, incapace di compassione e solidarietà.
“Guai agli spensierati di Sion e a quelli che si considerano sicuri”, ammoniva Amos (I lettura); “canterellano… bevono… si profumano… ma della rovina degli altri non si preoccupano”.
La verità delle cose diventa manifesta col sopraggiungere della morte. Morte che cristallizza definitivamente le scelte fatte in vita: l’indifferenza e l’egoismo, con cui si è vissuti, scavano un grande abisso, un fossato invincibile, insuperabile… E la morte rivela anche da che parte sta Dio: non abita alla tavola del ricco, non è nelle sue vesti lussuose, ma nelle piaghe di Lazzaro.
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Cara gente, il Vangelo non intende spaventarci, ma scuoterci, inquietarci, provocarci a riconoscere che, come scrive il Papa nel Messaggio per la Giornata del Migrante e del Rifugiato, “il senso ultimo del nostro viaggio in questo mondo è la ricerca della vera patria”.
In questa ricerca è luce la parola del Signore, che parla nelle Sacre Scritture, nella Chiesa, negli eventi, nei fratelli, a partire dai tanti Lazzaro che stanno alla nostra porta: poveri, migranti, sfollati, rifugiati, vittime della tratta, della miseria, dello sfruttamento, della guerra. La giustizia domanda ogni sforzo per includerli, riconoscendo e valorizzando quanto ciascuno di loro può portare alla crescita sociale, economica ed ecclesiale della nostra società.
Riflettiamo, pensiamo, confrontiamoci; ma non fermiamoci alle parole: “Nei momenti cruciali della storia, chi ha saputo lasciare una buona impronta lo ha fatto perché ha tradotto gli ideali, i desideri, i valori in opere concrete”, ha detto ieri Papa Francesco intervenendo ad Assisi.
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Concludiamo con la preghiera scritta dal Papa per questa Giornata:
Signore, rendici portatori di speranza,
perché dove c’è oscurità regni la tua luce,
e dove c’è rassegnazione rinasca la fiducia nel futuro.
Signore, rendici strumenti della tua giustizia,
perché dove c’è esclusione fiorisca la fraternità,
e dove c’è ingordigia prosperi la condivisione.
Signore, rendici costruttori del tuo Regno
Insieme con i migranti e i rifugiati
e con tutti gli abitanti delle periferie.
Signore, fa’ che impariamo com’è bello
vivere tutti da fratelli e sorelle. Amen.