Perugia: Il futuro sacerdote diocesano don Alfonso Liguori racconta la sua “chiamata”. Dalla famiglia al Seminario attraverso l’esperienza in parrocchia e nella Comunità Magnificat

Lunedì 29 giugno, solennità dei Ss. Pietro e Paolo, nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia, alle ore 18, per l’imposizione delle mani del cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti il seminarista Alfonso Liguori sarà ordinato presbitero. Il rito sarà presieduto dallo stesso cardinale insieme al vescovo ausiliare mons. Marco Salvi, al rettore uscente del Pontificio Seminario Regionale “Pio XI” di Assisi, mons. Carlo Franzoni, e a diversi sacerdoti. La celebrazione eucaristica vedrà una partecipazione limitata di fedeli per l’emergenza sanitaria, ma chi vorrà potrà seguirla in diretta, sulle frequenze di Umbria Radio InBlu (92.00 e 97.20) e in streaming sul canale Youtube La Voce Pg e sulla pagina Facebook de La Voce. Di seguito il futuro sacerdote diocesano racconta la sua “chiamata”, dalla famiglia al Seminario attraverso l’esperienza in parrocchia e nella Comunità Magnificat.

 

Di Alfonso Liguori

Il pane quotidiano con cui sono cresciuto. Brevemente la mia storia. Mi chiamo Alfonso Liguori e sono nato nella provincia di Napoli, ad Acerra, il 21 gennaio 1988, per poi trasferirmi a Perugia con la mia famiglia all’età di circa 5 anni. Parto proprio dalla mia famiglia. Parlare della mia famiglia mi ha sempre dato tanta gioia. Aldilà dell’insegnamento cristiano e della fede trasmessa nel semplice e nel quotidiano, aldilà dell’insistenza delicata di mio padre nel farmi tornare a messa la domenica durante il tempo delle superiori quando ero “preso” da tutt’altre abitudini, aldilà della preghiera immancabile di mia madre; quello che maggiormente ha contribuito al mio cammino e alla mia conversione è stata la loro testimonianza di vita. Due genitori che non hanno mai guardato ai loro limiti come un impedimento o un ostacolo, ma che hanno preso la loro croce facendo tutto quello che era possibile per loro, fino anche a mettere al mondo e crescere meravigliosamente tre figli, contando non solo sulle loro forze, ma anche sull’aiuto di Dio. Questo è stato per me il pane quotidiano con cui sono cresciuto, questo mi ha segnato per forza di cose, e mi spinge a seguirne l’esempio. Il loro sostegno, la loro forza, il riposo che vivo a casa mia ogni volta che ci metto piede, sono stati, sono oggi, e saranno anche durante il mio ministero, un sostegno che mi dà forza. Ricordo ancora le parole di gioia e commozione di mamma e papà quando comunicai loro che sarei entrato in seminario, e la loro risposta di fronte alle mie piccole preoccupazioni per il lavoro lasciato e lo stipendio che veniva meno, con una semplicità e una fede disarmante: “Se il Signore ti chiama, non ci lascerà senza il suo sostegno”.

Una fede-vocazione consolidata in parrocchia e nella Comunità Magnificat. La mia esperienza parrocchiale ha svolto sicuramente un ruolo significativo per la mia crescita alla fede. La parrocchia di Ponte Valleceppi, nella quale ho frequentato il catechismo per la preparazione al sacramento dell’Eucaristia e della Confermazione, ha contribuito in buona parte al mio avvicinamento e conoscenza della fede e del Signore. Non solo il catechismo, ma la messa domenicale, il servizio di chierichetto che puntualmente svolgevo ogni domenica, sono stati appuntamenti che oggi rileggo come una bella anticipazione: il Signore mi preparava a qualcosa di più bello. Crescendo poi, finita la cresima e con l’inizio delle scuole superiori, la parrocchia è dapprima diventata una parentesi e poi un ricordo. Solo verso la fine delle scuole superiori, il mio primo anno di università, grazie ad una festa di Capodanno “galeotta”, ho conosciuto un’altra comunità, la Comunità Magnificat, che mi ha fatto re-incontrare e conoscere quel Signore da cui mi ero allontanato, e di cui rapidamente mi sono innamorato. Li, ad Elce precisamente ma non solo, ho ricominciato a camminare, frequentare una parrocchia, vivere i sacramenti, in primis la celebrazione eucaristica. È con la Comunità che ho iniziato un cammino di fede e di preghiera. Oggi il seminario e le varie esperienze pastorali di questi 7 anni, sono state altre comunità che hanno esteso ed allargato la mia esperienza cristiana, ma sicuramente la più significativa rimane quella della Comunità Magnificat e della parrocchia di Elce.

Una chiamata non dovuta a una caduta da cavallo. Non posso dire che la mia sia stata una “caduta da cavallo” alla maniera di san Paolo, ammesso che sia mai caduto da cavallo; la mia è stata più una progressiva presa di coscienza e consapevolezza di quanto più profondo e vero era scritto nel mio cuore. I primi passi di questo cammino sono iniziati nella mia infanzia, ma quelli più significativi sono avvenuti con la conoscenza della comunità e dei fratelli che mi hanno seguito e accompagnato in un cammino che in 5 o 6 anni mi è servito a discernere se quella alla comunità sia o meno una chiamata per me. Specialmente il tempo di noviziato che dura 3 anni, ha il compito specifico del discernimento alla chiamata alla comunità. Questo è stato un vero e proprio discernimento vocazionale allargato, e nel chiedermi cosa il Signore mi stesse chiedendo, ho iniziato a chiedermi cosa io volessi davvero. A questo si è aggiunto un tempo favorevole, un pellegrinaggio in Terra Santa, un colloquio “rivelativo” con il mio datore di lavoro, ed un lavoro costante dei miei maestri di noviziato e con il prete che mi seguiva come padre spirituale, che mi ha portato a dire il mio primo “”, un sì che ha avuto bisogno di un po’ di tempo per essere metabolizzato, e che poi mi ha portato ad entrare in seminario.

“Prete perché?” e “prete come?”. Sono due domande interessanti alle quali non è così semplice rispondere. “Prete, perché?” è stata la prima cosa che mi ha chiesto il mio padre spirituale quando capii che forse il Signore poteva avere in mente per me questa strada, e mi ricordo che risposi di getto non lo so, se penso a qualcosa che non sia il matrimonio, solo al prete mi viene in mente. E non che non conoscessi frati o monaci, in proporzione probabilmente ne conosco più dei preti, ma quella strada non mi ha mai “chiamato” anche se allora non capivo bene perché. Ora durante questo ultimo percorso, questi ultimi nove mesi vissuti da diacono e ancor più peculiarmente da marzo a qualche giorno fa, di conferme ne ho ricevute moltissime. Il passaggio da i banchi dell’Istituto teologico e i corridoi del Seminario ad una più viva e continuativa vita in parrocchia, con le persone, in mezzo alla gente, mi ha fatto sempre di più toccare con mano quello che con la testa avevo compreso e intuito ma che con la vita e con il cuore vedevo ancora lontano: una vita offerta, una vita totalmente eucaristica, pronta a farsi spezzare per gli altri, è questo ciò che ho nel cuore, è questo a cui mi sento chiamato, ed è sicuramente il passaggio più difficile ma al tempo stesso più bello.

Nel tempo del Covid-19 un bisogno forte di Speranza. In modo particolare in questi mesi da marzo in avanti tutti abbiamo condiviso e vissuto un tempo strano, sconvolgente, a tratti incomprensibile che ha portato scompiglio nel nostro quotidiano e nelle nostre certezze (se penso che non abbiamo neppure potuto celebrare la Pasqua!), eppure anche in questo apparente buio il Signore non mi ha mai lasciato solo, non ha mai smesso di far sentire la sua voce e la sua presenza. È stato un tempo particolare in cui si è respirato un bisogno forte di Speranza, quella Speranza con la S maiuscola che da sempre attira il cuore dell’uomo, ed è come se il Signore volesse ricordandomi che nel “pacchetto” completo della mia chiamata c’è anche questo, portare, nel mio piccolo e nel mio ordinario, agli uomini la Speranza che è Gesù Cristo.

Essere pronto a gettare le reti. Molti mi chiedono, specialmente in questi ultimi giorni, “sei pronto?”, ovunque vada risuona questa domanda in tutte le sue accezioni. La mia risposta è sempre la stessa, non credo di essere pronto, mai pronto per questo ministero, per questa missione, per questa vita, mai pronto per quello a cui il Signore mi sta chiamando e che ora vedo e ancor meno pronto per tutto quello che non vedo o di cui ancora non ho idea, ma ho una certezza che si è fatta sempre più forte in questi anni di Seminario, non è sulle mie forze che posso fare affidamento, non è sulle mie capacità che devo contare, o sulle mie abilità che gioco tutto, ma è sulla Sua Grazia, sulla Sua Forza, sulla Sua Parola che voglio gettare le reti, ed è questo che mi porta a dire: “eccomi Signore, manda me”.