
La santa morte dell’arcivescovo Giovanni Battista Rosa al termine del sinodo diocesano e in piena visita pastorale.
Il 29 ottobre di 83 anni fa moriva piamente l’arcivescovo di Perugia Giovanni Battista Rosa. La sua figura di zelante e sapiente pastore segnò profondamente nella nostra diocesi i difficili anni compresi tra le due guerre mondiali. Abbiam già avuto modo di parlare di lui ricordando, nel 1933, l’acquisto e la ristrutturazione di Villa Monti che poi diventerà Casa Sacro Cuore. Oggi ripercorriamo gli ultimi momenti della sua vita caratterizzati dalla tenacia di chi, in faccia alla morte, non vuole lasciare nulla di incompiuto. Le numerose testimonianze raccolte nei mesi di luglio-ottobre del 1942 faranno di lui una figura quasi leggendaria nella memoria di quanti lo conobbero.
Con i bambini di Porta Sant’Angelo nel 1929
Nativo di Sermide, in provincia di Mantova, entrò in seminario a sedici anni nel 1883 dopo aver compiuto le scuole tecniche a Vicenza. Nel 1885 dopo aver vinto un concorso a Roma venne ammesso al Seminario Lombardo. Studiò a Roma dal 1885 al 1892 presso la Pontificia Università Gregoriana e si laureò in filosofia e teologia. Il 16 aprile 1892 venne ordinato sacerdote dal cardinale Lucido Maria Parocchi. Dopo un anno trascorso come vicerettore, nel 1893 fu nominato rettore del Seminario di Mantova, poi parroco di Sustinente nel 1900 e nel 1908 arciprete di Ostiano. Nel 1911, senza abbandonare il titolo di arciprete di Ostiano, papa Pio X lo nominò sostituto della Sacra Congregazione Concistoriale dove rimarrà per dieci anni.
Il 17 dicembre 1922 venne consacrato vescovo nella chiesa di Sant’Andrea al Corso a Roma per l’imposizione delle mani del cardinale Gaetano De Lai; il primo marzo 1923 fece solenne ingresso a Perugia. Nel 1926 celebrò il primo Congresso Eucaristico Diocesano. Nel 1932 indisse solenni celebrazioni mariane per la “Festa del Voto”. Nel 1937 guidò la Sezione Italiana che partecipava al Congresso Eucaristico Mondiale di Manila nelle Filippine. Nel 1940 guidò il terzo Congresso Eucaristico. Nel gennaio 1942, in piena visita pastorale dell’archidiocesi, venne colpito dai primi sintomi di angina pectoris, ma nell’aprile dello stesso anno celebrò il sinodo diocesano e, in concomitanza, festeggiò anche il 50º anniversario di ordinazione sacerdotale.
La pur forte fibra cedette. Nella notte del 21 gennaio dello stesso anno, un improvviso edema polmonare lo portò quasi alla morte. Consapevole del pericolo volle tutti i sacramenti, fece la professione di fede, diede gli ultimi ordini e le ultime raccomandazioni attendendo sereno l’incontro con Dio. Il pericolo cessò. Non scomparve però il male, che restò anzi in forma molto più accentuata di prima e non lo lasciò più. Insufficienza miocardica e gravi scompensi cardiorenali gli resero faticose e doloranti le sue giornate anche quando, lasciando il letto, voleva ritornare al suo tavolo di lavoro. Sembrò migliorare un po’ nel mese di aprile. Ci racconta Mons. Raffaele Baratta (che fu uno dei suoi successori come arcivescovo di Perugia) nel suo diario: “…a chi lo vide e lo ascoltò nelle adunanze per la solenne celebrazione del Sinodo Diocesano, nel pontificale del suo cinquantesimo di sacerdozio, nella imponente dimostrazione di venerazione e di affetto del popolo, in piazza, il giorno stesso del suo cinquantesimo, sembrò che egli fosse perfettamente guarito. Non era. Egli lo sapeva e lo sentiva. Solo in casa nell’intimità, confessava di sentirsi male”.
Venne la festa del Corpus Domini. Disse che la processione “Egli non l’avrebbe potuta fare. Ma all’ultimo, lui, il vescovo che in Perugia aveva ridato a Gesù Eucaristico, dopo oltre cinquant’anni di prigionia, la libertà e trionfi delle processioni e dei Congressi, non seppe resistere al dolore di non portare un’ultima volta l’Eucaristia in trionfo”. Fece la processione, portando lui l’ostensorio per tutto il percorso. Aggiunse poco dopo a questa un’altra fatica, l’ordinazione sacerdotale agli alunni del suo seminario: ordinazione che egli, nel suo grande affetto di padre, non poteva permettere che fosse fatta da altri.

Consacrazione di 14 sacerdoti nel 1941
Queste fatiche, unite a quelle di ogni giorno per il governo della sua archidiocesi, stremarono le sue forze. La sera del 3 luglio dovette riprendere il letto per non lasciarlo ormai più. Ebbe un rapido aggravamento. Continua Baratta “…La domenica del 12 luglio era una seconda volta morente. Se ne diffuse la notizia. Immenso popolo accorse in Cattedrale e accompagnò il Sacramento, che veniva portato a Lui in Viatico. Molti del Clero e del popolo passarono accanto al suo letto, dopo i Sacramenti, a ricevere la sua benedizione”.
Dopo circa dieci giorni di pericolo grave, ebbe qualche miglioramento. La morte vicina sembrò allontanarsi. Poté a intervalli scendere dal letto ed anche celebrare la S. Messa e sedersi anche al suo tavolo di lavoro. “Sempre però come un malato, come uno gravemente malato, che solo per un forte comando della sua volontà vuole reggersi e vuol lavorare. Così attuava il suo programma: il vescovo o lavora o muore”.
Il dolore andò intensificandosi nell’ultimo mese di ottobre che fu di fatto tutta una prolungata agonia. Allo stesso mons. Baratta che gli chiese una volta se soffriva, rispose con due sole parole pronte e gravi, “in maniera impossibile”.
Le sue sofferenze le sopportava sereno, lieto di dare alla sua diocesi anche il frutto di questo suo soffrire. Si avvicinò la fine. Tornarono clero e popolo accanto al suo letto: Il Podestà di Perugia venne a chiedergli un’ultima benedizione per tutta la città. “Egli benedì tutti: raccomandò a tutti di essere buoni: disse, e diede incarico al Suo Vicario di dire, che aveva amato sempre tutti con tanto amore. E il mattino del 29 ottobre, mentre era circondato da tanto clero in preghiera, venne a lui il Signore per portare alla Sua anima il premio eterno di luce e di vita”.
La salma dell’arcivescovo Giovanni Battista Rosa
esposta nella sala delle udienze dell’arcivescovado
Sempre dai racconti di Raffaele Baratta, apprendiamo che “un giorno si rivolse al suo cameriere Antonio Manfredi con una domanda improvvisa e imbarazzante. Come nelle circostanze che umoristicamente rendeva solenni, gli dette del lei, assumendo quell’aria tipica tra il serio e il faceto, dicendo: Vorrei sapere come lei mi vestirà il giorno della mia morte! Antonio rimase un po’ perplesso e, assumendo a sua volta quell’arietta di mantovano scanzonato che molti di noi ricordano (in assenza dell’arcivescovo usava spesso frasi anche troppo colorite!) rispose: Me lo dica Lei, Eccellenza! Ebbene, mi vestirai con i miei abiti pontificali, voglio entrare nell’Eternità come entro in cattedrale per il pontificale! La pianeta, – aggiungeva l’arcivescovo – mi metterai quella viola più semplice che è già preparata dove tu sai”.
A questa immagine, apparentemente vanitosa, faceva da contrasto l’essenzialità della sua vita quotidiana. Ci racconta don Remo Bistoni: “…chi ebbe la desolata ventura di entrare nella cucina di mons. Rosa: ebbe l’impressione di un vero squallore. La più povera casa parrocchiale della diocesi perugina non appariva più semplice e disadorna di quella cucina. Tavolo grezzo con un marmo, mobili modesti, vecchia stufa economica… poche stoviglie intorno. Mons. Rosa non beveva vino. Non era astemio, ma ne beveva pochissimo in circostanze particolari. La sua mensa era di una frugalità eccezionale. Questo in contrasto con la signorile ospitalità che sfoggiò, con larghezza, specialmente in occasione dei grandi congressi eucaristici e in circostanze simili”.
Mentre auguriamo all’arcivescovo Maffeis di raccogliere dalla prossima visita Pastorale i frutti sperati, vogliamo anche scongiurarlo dal seguire l’esempio, fin troppo edificante, di questo suo compianto predecessore, ormai lontano dalla memoria dei perugini, ma pur vivo nelle tante opere da lui compiute per il bene della nostra Chiesa.
Pregheremo ancora per l’arcivescovo Rosa fra qualche giorno, il 2 novembre, quando, come da tradizione, al termine della Celebrazione Eucaristica nella cattedrale di San Lorenzo, scenderemo nella cripta dove riposano anche le sue spoglie mortali, chiedendo per lui al Signore la gioia senza fine promessa ai suoi servi fedeli.


