A meno che non lo si faccia relegandoli nel passato remoto, è sempre rischioso andare a scomodare i santi. Se accettiamo che la loro memoria non si risolva in retaggio del passato, ma alimenti lo sguardo con cui interpretare il nostro tempo, avvertiamo subito che ne scaturiscono alcune indicazioni piuttosto scomode o perlomeno assai impegnative.
Da ultimo arrivato, sarebbe presuntuoso da parte mia voler mettere a fuoco le consegne che Sant’Ercolano, il principale patrono della città e dell’Università, ci affida. Mi limito quindi a due suggestioni, che rinviano ad altrettante cartine al tornasole con cui verificare il nostro cammino di comunità.
La prima. Sant’Ercolano viene definito defensor civitatis, perché – oltre che resistere ai Goti che assediavano Perugia, che lo tortureranno e lo decapiteranno – con questa carica pubblica seppe spendersi per il bene del popolo, in particolare per la difesa dei poveri. Ercolano è stato davvero pastore, buon pastore, secondo l’immagine che emerge dalla prima lettura come dal Vangelo. Un pastore non fugge, non abbandona, ma anche nei giorni nuvolosi e di caligine, nei giorni della dispersione, di cui parlava il profeta, rimane riferimento autorevole.
Nuvolosità, caligine e dispersione non sono solo figure retoriche.
Prendono corpo nei dati presentati venerdì dalla Caritas regionale, che fotografano una situazione nella quale anche in Umbria è in atto un aumento considerevole della povertà materiale, dovuto, oltre che alla pandemia e alla guerra in Ucraina, agli aumenti, spesso speculativi, dei generi di prima necessità e al caro bollette per elettricità e gas.
Solo nella nostra diocesi di Perugia-Città della Pieve sono 1800 le famiglie che frequentano settimanalmente i 5 empori della solidarietà. E quante sono quelle che, per una ragione o l’altra, nemmeno riusciamo a intercettare?
Così, sono oltre 3000 famiglie che si sono rivolte alla nostra Caritas perché prive di alloggio a causa della perdita del lavoro o per il loro basso reddito.
Accanto alle forme di povertà materiale, si tocca con mano la crescita della solitudine, che porta con sé bassa autostima, sfiducia, mancanza di speranza e di progettualità, disagio psichico. I tanti anziani che frequentano le due mense cittadine sono un segno emblematico di questa povertà sociale.
Nel contempo, l’esempio di Sant’Ercolano, la sua sensibilità e capacità di farsi prossimo non sono andati dispersi. Parlano nella disponibilità che ha mosso tante famiglie ad aprire le porte ai profughi. Parlano nei volontari, formati dalla Caritas e anima dei Centri di Ascolto che ho la grazia di incontrare sul territorio. Parlano nel contrasto alla povertà, portato avanti dall’impegno dei servizi pubblici in sintonia con le realtà del Terzo Settore. La sfida diventa quella di dar continuità a questa convergenza per affrontare situazioni che vanno ben oltre l’emergenza e correggere le distorsioni del sistema economico e sociale, che finiscono per generare diseguaglianza e povertà.
Nell’affrontare questa impegnativa responsabilità, è decisivo e qualificante il contributo assicurato dall’Università. Il secondo aspetto che volevo sottolineare è proprio quello che lega Sant’Ercolano all’Università, nel cui simbolo il Santo compare a fianco del Grifo.
Non è il momento per dilungarsi sul ruolo e l’importanza dello Studium generale. Basti ricordare che sin dalla seconda metà del Duecento, l’istituzione comunale – che nei propri Statuti aveva eletto Ercolano patrono della città – aveva lavorato affinché Perugia fosse inserita fra le città di riferimento per l’insegnamento universitario. Questo impegno del Comune coinvolse l’Università anche nella partecipazione alle manifestazioni sociali e religiose. Lo documentano gli Statuti cittadini già del XIV secolo, che nell’ordine di accesso alle luminarie collocano in posizione di prestigio il Rettore e i dottori dello Studio, quindi gli studenti, così da valorizzare pubblicamente un’istituzione simbolica che era – ed è – vanto per Perugia e il suo governo.
Il livello di investimento in cultura e formazione dice la volontà della comunità tutta di darsi condizioni e opportunità di sviluppo. È anche via indispensabile alla pace, a far sì che la nostra Europa non sia ulteriormente ferita dai barbari, ossia dalla violenza della guerra.
Portiamo davanti al Signore le sofferenze, attese, le necessità del nostro popolo, compresa la situazione di disagio che oggi vede faticare tanti studenti nel trovare alloggio.
Nella memoria viva di Sant’Ercolano, di cui da quasi 1500 anni la nostra città conserva le reliquie, ci impegniamo a crescere nel senso della comunità come stile di vita, così da assicurare anche il diffondersi di una cultura della solidarietà.
Don Ivan, vescovo