Sono contento di essere tra voi in questo giorno di festa nella memoria viva di San Francesco. Vi ringrazio, a nome della Chiesa e della Città, per la testimonianza evangelica di cui ci arricchite, per il servizio che assicurate fra quanti sono provati dalle diverse forme di povertà – economiche e spirituali – che attraversano questo tempo.
Anche nella terra trentina da cui provengo, i vostri conventi sono luoghi di riferimento, cari al cuore di tutti. All’intercessione di San Francesco presentiamo il bisogno che abbiamo di nuove vocazioni, che diano continuità alla presenza francescana che ha costruito le nostre valli, i nostri paesi, le nostre comunità.
Da ultimo arrivato, cosa posso aggiungere? Mi è difficile pensare di aver qualcosa di originale da offrirvi su San Francesco: sarebbe come pretendere di portare acqua al mare… Preferisco dirvi che cosa, all’inizio di questo servizio come vescovo, mi sta maggiormente a cuore per me e per voi e che affido alla vostra preghiera e alla vostra amicizia.
Innanzitutto, riuscire a incarnare uno stile umile e semplice. “Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli”. L’insegnamento di San Francesco, la sua stessa vita è stata annuncio del Vangelo della pace e della salvezza; è stata acqua viva, che in questi 8 secoli ha continuato a dissetare uomini e donne in ricerca di una vita spirituale, della vita buona del Vangelo. Scrive San Bonaventura nella “Leggenda maggiore”: “Come la stella del mattino, che appare in mezzo alle nubi, Francesco – con i raggi fulgentissimi della sua vita e della sua dottrina – attrasse verso la luce coloro che giacevano nelle tenebre della morte”.
L’umiltà e la semplicità hanno la loro radice nella contemplazione del mistero dell’incarnazione e, nella sequela vissuta di nostro Signore, portano alla rinuncia, alla spogliazione dei beni terreni, al dono di se stessi nel servizio. È questo il segno profetico che stiamo davvero riconoscendo a Dio il suo primato; e la nostra vita s’interpreta allora come una restituzione di quello che per grazia abbiamo ricevuto… Un atto di giustizia, potremmo dire.
Un’altra dimensione a cui vorrei improntare il ministero è la fraternità. L’autorità – Francesco lo raccomanda con forza – non può mai interpretarsi o presentarsi come superiorità, come giudizio escludente, come possesso. Farsi piccoli, minori, è la via per diventare fratelli, è la modalità con la quale ci si dispone ad accogliere con bontà e misericordia chi bussa alla porta del nostro cuore. Fraternità, quindi, come stile di relazione tra noi, che vive di accoglienza, di perdono misericordioso, di fiducia (cfr. “Lettera a un Ministro”).
Un’ultima cosa che, pensando a San Francesco, vorrei chiedere per me e per ciascuno è la capacità di soffrire per amore della Chiesa. Anche il Poverello di Assisi poteva dire con San Paolo: “Io porto le stigmate di Gesù sul mio corpo”. Anche in lui non c’è stato “altro vanto che nella croce del Signore nostro Gesù Cristo”. Come non leggere queste parole sullo sfondo delle sue “Ammonizioni”? “Se tu fossi più bello e più ricco di tutti e anche se tu facessi cose mirabili, come scacciare i demoni, tutte queste cose ti sono di ostacolo e non sono di tua pertinenza e in queste cose non ti puoi gloriare; ma in questo possiamo gloriarci, nelle infermità, e portare ogni giorno la santa croce del Signore nostro Gesù Cristo”.
Non fermiamoci a lamentarci sulle rovine della Chiesa – i brontoloni non sono mai profeti… – ma, come Francesco davanti al Crocifisso di San Damiano, invochiamo la grazia di essere invasi da “una grande consolazione spirituale”. Con questa pace nel cuore sarà possibile fare la nostra parte – con umiltà e con semplicità, con spirito di distacco e di povertà, con animo fraterno – perché la freschezza e la fecondità del Vangelo e dell’esperienza ecclesiale raggiungano ancora gli uomini del nostro tempo.