In un tempo povero di memoria come il nostro diventa ancora più importante celebrare determinati anniversari: non certo per fermarsi a guardare indietro, quanto per essere aiutati a interpretare il nostro tempo e scegliere su che cosa costruire il futuro. È per questo che oggi ricordiamo la storica convocazione di 36 anni fa, quando san Giovanni Paolo invitò qui in Assisi i rappresentanti delle Chiese cristiane, delle comunità ecclesiali e delle religioni mondiali per pregare insieme per la pace. Quell’appello è più vivo e urgente che mai, davanti alla guerra che, con l’aggressione all’Ucraina, è tornata a insanguinare l’Europa: un conflitto che si aggiunge a tanti altri, poco rappresentati, ma che – come ha denunciato questa settimana Papa Francesco – soffocano la pace in tante regioni del mondo, la umiliano con la violenza, la negano perfino ai bambini e agli anziani, cui non sono risparmiate le terribili atrocità della guerra.
In questo contesto, la fraternità tra credenti di fedi diverse è una cifra indispensabile; contribuisce, tra l’altro, a mettere fuori gioco chi non esita a strumentalizzare il nome di Dio e a usare la religione per costruire il nemico, fomentare le divisioni, opprimere e sopraffare.
Le religioni ci testimoniano che l’incontro con Dio, più è profondo, più porta il credente a farsi prossimo, ad andare verso l’altro, a partire dal povero e dal bisognoso. La fede fa relativizzare tante cose, dietro alle quali spesso sacrifichiamo il tempo, le energie del nostro cuore e della nostra mente, i nostri stessi affetti; l’uomo di fede è distaccato, libero, pronto a restituire per giustizia non solo quello che non è suo, ma anche quello che ha in sovrappiù: “Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto”.
Cos’è che ha cambiato il cuore di Zaccheo? Era ricco, temuto, invidiato. Sotto l’etichetta con cui i suoi concittadini l’avevano liquidato con disprezzo – la sua è la casa di “un peccatore” – c’è una persona che avverte il disagio della propria condizione e cerca altro, ha sete di una vita diversa. Questa sana inquietudine, che ognuno si porta dentro, è la forza che spinge Zaccheo ad avvicinarsi a Gesù, a volerlo vedere, anche a costo di rischiare il ridicolo con il suo salire su un albero.
“Nessuno vede Gesù senza fatica – osserva sant’Ambrogio – nessuno riesce a vedere Gesù standosene per terra”.
Questa disponibilità incontra lo sguardo di Gesù, di questo Dio che – nella sua costante ricerca dell’uomo – crocifiggerà le sue mani per incontrare le nostre e fare pace: “Scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua”. E l’incontro trasforma il cuore di Zaccheo, lo apre alla gioia, lo porta a ristabilire un giusto rapporto con le cose e con gli altri nel gesto concreto della riparazione del male compiuto, della giustizia e della condivisione. All’origine della conversione c’è lo sguardo del Signore, la sua misericordia che ci provoca, ci educa, ci conferma nell’intuizione che può più l’amore del giudizio, più la comprensione del rimprovero, più il dialogo della violenza: “Tu correggi a poco a poco quelli che sbagliano – dice il libro della Sapienza – e li ammonisci ricordando loro in che cosa hanno peccato, perché, messa da parte ogni malizia, credano in te, Signore”.
Affidiamo la causa della pace all’intercessione di san Francesco, animato da un senso profondo di Dio e dall’amore per il Crocefisso, che l’hanno reso mite, umile, povero, fratello e servo di tutti. E con lui chiediamo al Signore di essere, a nostra volta, uno strumento della sua pace.