“Si conosce solo ciò che si ama”, sottolinea il grande Sant’Agostino. Con questo desiderio lo scorso settembre ho iniziato, proprio in questa Cattedrale, il servizio come vostro vescovo.
In quella circostanza vi chiedevo di essere aiutato a conoscervi, sapendo che questa, a sua volta, è la base per la fraternità e la condivisione del cammino pastorale. A distanza di quasi sette mesi sento profonda gratitudine per questa Chiesa di Perugia – Città della Pieve, la nostra Chiesa, per la disponibilità cordiale con cui mi avete accolto. Il ringraziamento va al Card. Gualtiero e al Vescovo Marco; a ciascuno voi, presbiteri, fra i quali ho nominato il vicario generale, il vicario per la pastorale e il vicario del clero: a don Simone Sorbaioli, a don Simone Pascarosa e a don Giuseppe Piccioni un grazie particolare. Grazie ai nostri diaconi; alle comunità religiose, maschili e femminili, alle parrocchie, ai movimenti e alle associazioni, a quanti lavorano per la Curia; ai rappresentanti delle Istituzioni e al popolo di Dio nel suo insieme.
In questa S. Messa, che esprime l’unità della Chiesa locale, consacreremo gli olii per i catecumeni e gli infermi e il crisma per l’unzione battesimale, la cresima e l’ordine sacro; come sacerdoti rinnoveremo le promesse pronunciate il giorno della nostra ordinazione.
Davanti a una celebrazione così ricca, cerco di raccogliere tre pensieri, che rivolgo in particolare ai presbiteri, ma che nelle intenzioni vorrebbero raggiungere il cuore di tutti.
La storia di ogni vocazione, infatti, è essenzialmente un compimento del battesimo. Siamo chiamati alla santità, in risposta a “Colui che – come evidenziava l’Apocalisse – ci ama e ci ha liberati dai nostri peccati con il suo sangue, ha fatto di noi un regno, sacerdoti per il suo Dio e Padre”. Un popolo tutto sacerdotale! Questo rimane il primo e più importante orizzonte, che pone ciascuno di noi fra quei poveri a cui il Cristo porta il lieto annuncio, fra quei prigionieri a cui viene offerta la liberazione, quei ciechi a cui è ridonata la vista, quegli oppressi rimessi in libertà…
Sì, anche noi presbiteri siamo farina del sacco comune, con le nostre povertà, le nostre miopie e contraddizioni, il ritrovarci esposti al pericolo di lasciar smorzare il fuoco del primo amore… È fuoco che si rianima con la frequentazione della Parola, la celebrazione eucaristica, il silenzio dell’adorazione, il perdono sacramentale. Perché tutto ciò non si riduca a pratiche religiose, ma possa alimentare una vita spirituale, ci è chiesto –per usare l’immagine che accompagna quest’anno sinodale – di assumere lo stare di Maria ai piedi del Signore, imparando a deporre quell’attivismo che trasforma la vita in una fuga, in un nascondimento, in una maschera…
Una vita spirituale è anche la condizione che ci consente di essere partecipi della missione di Cristo. E di esserlo – e passo al secondo punto – all’interno di un insieme di relazioni costitutive. Qui l’asta si alza, perché la cultura che respiriamo, più che l’insieme, predilige la separazione: la comunità rimane spesso uno sfondo esteriore, mentre in primo piano s’impone quella coscienza individuale di cui ciascuno è estremamente geloso. Se viene meno un sentimento di appartenenza, non solo l’aspetto comunitario, ma anche quello personale ne esce segnato da rapporti di estraneità e d’indifferenza.
Anche rispetto a tale pandemia non ci mancano vaccini efficaci. Il primo passa dalla realtà del presbiterio. Nessuno – nemmeno il più carismatico di noi – è sacerdote da solo. Quando sono portate avanti in maniera isolata, anche le migliori iniziative presto o tardi sono destinate a rivelarsi sterili; quando ci si interpreta da soli è concreto il rischio di annunciare la nostra parola, di celebrare noi stessi, di pretendere di essere serviti più che di servire. Ritrovarsi nell’orizzonte della fraternità richiede l’ostinata volontà di stimarsi reciprocamente, la cura dell’amicizia e delle relazioni, la fedeltà agli incontri, una disponibilità sincera al confronto, l’umiltà di rivedere le proprie posizioni, la disponibilità a una collaborazione fattiva.
L’anima di ciò che siamo – e vengo al terzo pensiero – sta nell’indicazione evangelica: “Nella sinagoga, gli occhi di tutti erano fissi su di lui”. Teniamo anche noi fisso lo sguardo sul Signore Gesù, l’uomo delle Beatitudini, poniamo la nostra vita alla sua sequela e non ci ridurremo mai a burocrati, a funzionari del sacro, preoccupati di tutelare i propri spazi… Come Pietro nel cortile del sommo sacerdote, lasciamoci incontrare dallo sguardo di Cristo: ritroveremo la fiducia che nasce da un cuore riconciliato e la libertà che porta ad avere a cuore il bene della nostra gente, fino a coinvolgerci in quello che vive, spera e soffre, attenti a valorizzare tutte le occasioni che la giornata ci offre per costruire relazioni fraterne e affascinare alla vita buona del Vangelo. Dall’incontro con le persone ci ritroveremo convertiti e sostenuti a nostra volta.
Cari confratelli, non ringrazieremo mai abbastanza il Signore per il dono del sacerdozio ministeriale e della comunione di cui vive. Preghiamo per tutti i sacerdoti. Per quanti di loro e fra i nostri diaconi sono maggiormente provati dalla malattia. Per quanti stanno attraversando un periodo di difficoltà. E ringraziamo per le tante belle figure che animano il nostro presbiterio: possano con la loro testimonianza suscitare nuove vocazioni.
Ringraziamo il Signore per la natura sacerdotale dell’intero popolo di Dio, al quale apparteniamo, alla cui crescita è orientata la nostra vocazione e con il quale deve diventare sempre più intensa la corresponsabilità.
Parte dell’olio che ora consacreremo ci è stato donato dalla nostra Polizia di Stato. Proviene dagli olivi coltivati nel Giardino della Memoria, a pochi passi dallo svincolo autostradale di Capaci, luogo della strage mafiosa in cui morirono il giudice Falcone, la moglie e gli uomini della scorta. È inoltre profumato con l’essenza del bergamotto, offertoci dal Vescovo di Locri – Gerace con un augurio di pace e di speranza per tutti. Sono segni che ci impegnano a far la nostra parte per una cultura della legalità.
Segnati dal santo olio formiamo un solo corpo, il corpo vivente di Cristo, la sua Chiesa, popolo di consacrati, portatori non del giorno dell’ira, ma dell’anno di grazia del Signore.
Con questi sentimenti entriamo nel Triduo Santo: sarà una Pasqua di luce, speranza e risurrezione per tutti.