Abbiamo iniziato questa solenne celebrazione con un segno che parla al cuore: il buio della notte è stato rischiarato da un fuoco nuovo, da un cero acceso, da cui la luce si è propagata, fino a raggiungere ciascuno, fino a riempire tutta la Cattedrale.
È un segno che, forse, è importante non mettere da parte troppo in fretta.
Il buio esprime bene la nostra condizione. Nel lungo Sabato Santo che stiamo attraversando la luce è soffocata da violenze senza fine, che diffondono un sentimento di impotenza e di paura, tutt’altro che vinto dalla prova di forza che le potenze internazionali cercano di mostrare.
In tanti momenti il buio ce lo sentiamo anche dentro. Gli ha dato un nome Papa Francesco, in una delle meditazioni della Via Crucis di ieri sera: “Quando mi sento schiacciato dalle cose, bersagliato dalla vita e incompreso dagli altri; quando avverto il peso eccessivo e snervante della responsabilità e del lavoro, quando sono compresso nella morsa dell’ansia, assalito dalla malinconia…, quando mi scandalizzo degli altri e poi mi accorgo che non sono diverso…”.
Il buio che avvolge questo tempo ci ha indebolito la memoria: stentiamo a sentirci partecipi di una Tradizione viva, nella quale la fede cristiana non solo ha costruito Cattedrali, ma ha promosso la dignità della persona, ha dato slancio e contenuto alla cultura, ha innervato di santità diffusa il nostro popolo, ha dato vita a tante esperienze di carità.
Oltre alla memoria del passato, il buio stende il suo velo anche sul nostro presente: è il buio di certe solitudini disperate, di relazioni ferite, di quella sfiducia che porta ad abbassare la serranda, a vivere ripiegati, distanti dal sentirci responsabili di una famiglia o di comunità, per la quale spendersi con generosità.
Nel buio diventa difficile anche immaginare il futuro. Più che essere atteso o desiderato, più che essere visto come la terra verso la quale tendere per realizzare progetti di vita, il futuro è avvolto da incertezze e inquietudini.
Torniamo a quel fuoco nuovo, a quel cero acceso. Sono segni, attraverso i quali la Chiesa ci educa, ci apre un percorso di fede, condividendoci l’annuncio centrale dell’esperienza cristiana: il Signore è risorto. È Lui l’Alfa e l’Omega, il Signore del tempo e della storia. È Lui la nostra luce. Una luce che consola, provocandoci a integrare anche l’esperienza del buio o del fallimento in qualcosa di più grande, a recuperare uno sguardo d’insieme, a saper ricondurre i diversi tasselli in un disegno unitario, che dà significato a quello che siamo e a quello che facciamo. A questo miravano le letture bibliche: aiutarci a far memoria della storia della nostra salvezza, attraverso le grandi tappe di questo cammino – la creazione, la liberazione dalla schiavitù… – tappe che trovano il loro compimento nella luce del Cristo Risorto.
In tanti uomini e donne di oggi questa luce genera fede, speranza e carità; uomini e donne che sentono che la vita non è frutto del caso, ma è vocazione che attende la risposta di una vita buona, riconciliata, sobria, fraterna; una vita che ritrova il profumo della gratuità, del dono di sé.
Questa luce vive nella pazienza e nella perseveranza di chi si fida della fedeltà di Dio, per cui resiste nella prova, accompagnato da una forza più grande di ogni stanchezza, una forza che è grazia.
Questa luce affascina anche oggi: questa sera ce lo testimoniano tre ragazze – Almira, Kisiana e Sara – che, dopo un percorso di formazione, hanno chiesto di ricevere il battesimo. Grazie, perché la vostra scelta ci esorta a non attardarci nell’oscurità del Sabato Santo, per lasciarci raggiungere da un raggio di Pasqua e diffonderla con la nostra vita.
Don Ivan,
Vescovo
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Veglia pasquale – Diocesi Perugia