Venerdì sera 17 marzo, in una gremita cattedrale di San Lorenzo di Perugia, si è tenuta la Veglia di Quaresima dei giovani con l’arcivescovo Ivan Maffeis, organizzata dalla Pastorale diocesana giovanile insieme alle Pastorali vocazionale ed universitaria e al Coordinamento Oratori Perugini (COP). Gli interrogativi di alcuni giovani presentati durante le cinque stazioni della via Crucis hanno stimolato la riflessione di mons. Maffeis ( il testo integrale è scaricabile dal link: https://diocesi.perugia.it/wd-document/veglia-di-quaresima-con-i-giovani-perugia-17-marzo-2023/), che ha concluso con un invito non poco impegnativo rivolto loro: “Lasciatevi incontrare dal Vangelo e guardare negli occhi dal Signore Gesù: vi ritroverete subito in cammino. E non vi sentirete più soli”.
L’arcivescovo ha introdotto la sua meditazione citando una recente “fotografia” del quotidiano Il Sole 24 Ore sulle giovani generazioni da cui emerge “una generazione in sofferenza, ferita da un dolore segreto, un fiume carsico – ha detto Maffeis –, che appare e scompare velocemente: se non sei attento, se non sei disponibile a coglierne i segni, a riconoscerlo, ci passi accanto senza nemmeno vederlo”. Si è poi soffermato sui “tanti altri luoghi e situazioni di fragilità e di sofferenza, che diventano subito invisibili”, come le famiglie del territorio Perugino che “il terremoto ha privato della loro abitazione e delle loro chiese”. Ha raccontato anche del suo incontro con un detenuto di Capanne, che gli ha detto: “Mi sto spegnendo, non riesco più a sentire emozioni, a innamorarmi…”.
Nell’allargare lo sguardo, l’arcivescovo si è soffermato sulle “vicende di un Iran, che acceca letteralmente i suoi giovani – le sue ragazze – con l’intento di umiliarne la bellezza e spegnerne i sogni”; sulla guerra in “un’Ucraina, che era il granaio d’Europa e non solo, mentre oggi è bagnata dal sangue di centinaia di migliaia di vite”; su “un Malawi – il ‘nostro’ Malawi – devastato dalla furia del ciclone”; su “un Mediterraneo che – a differenza del Mar Rosso – si richiude, annegando le speranze di vita di quanti fuggono dalla miseria e dalla violenza, dalla persecuzione e dalla guerra… Queste croci, che per noi è facile non vedere, contraddicono il disegno di Dio sull’uomo e sulla creazione. Un disegno che prende forma nel volto di Gesù di Nazareth, nelle sue parole, nella sua vita: la sua stessa croce dice la misura del suo amore; la sua passione riassume in sé la passione di ogni uomo; in lui, coronato di spine, c’è il giusto sofferente, che anche nella morte non smette di affidarsi al Padre: il grido del Crocifisso è lanciato al cielo, non contro il cielo… Dinanzi a lui possiamo venir presi da un’infinita tenerezza, proprio come fu per San Francesco, che meditava la Passione con com-passione”.
Mons. Maffeis, avviandosi alla conclusione, ha parlato di “una vita possibile” come “le testimonianze dei dodici giovani che a Pasqua riceveranno il battesimo. Si sono avvicinati alla fede e alla Chiesa per contagio, perché affascinati dalla vita di un compagno di Università, dall’amore di un ragazzo, da un percorso di catechesi, da un’esperienza di accoglienza da parte della comunità cristiana”. Come anche le parole di Chiara Letizia e di Maria Grazia che testimoniano come “la vita proposta da Cristo è possibile ed è bella”, ha commentato l’arcivescovo precisando che “Chiara Letizia, nella domenica dopo Pasqua, farà la sua professione nel monastero delle Clarisse di Sant’Agnese”; mentre “Maria Grazia, in questo stesso nostro monastero, ha appena celebrato i 70 anni di professione religiosa. Una giovane e un’anziana, unite da una sola parola: gratitudine alla vita. Cari ragazzi, no, ‘non siamo semplicemente il prodotto casuale e senza senso dell’evoluzione. Ciascuno di voi è voluto, è amato, è necessario’”.
La Via Crucis ha visto il proseguire, lungo le navate della cattedrale, la croce che poteva così toccare i quadri viventi in cui alcuni capi scout rappresentavano le vicende raccontate nelle meditazioni. “Ogni scena è stata incensata dall’arcivescovo, perché i ragazzi potessero riconoscerle come profumate, importanti – ha sottolineato don Luca Delunghi, responsabile dell’Ufficio diocesano di pastorale giovanile –, hanno scoperto come lì c’è passata la croce, ma anche il crocifisso che con loro ha condiviso quelle pieghe della loro vita”. A Ciascuno dei 700 giovani presenti è stato consegnato un sacchetto di stoffa con dell’incenso. I sacchetti sono stati realizzati dalle detenute e riempiti dai detenuti del Carcere di Capanne, “frutto del loro lavoro e del loro tempo offerto per noi – ha commentato don Luca Delunghi –, segno di tutto quello che può riempire la nostra vita, con le tante piaghe che la abitano e che ci abitano”.