Una vita senza compromessi

Questo libro di Adrien Candiard è una meditazione altamente provocatoria, nello stile tipico dell’autore, sul paradosso proprio del cristianesimo: se Dio ci ama gratuitamente, perché ci chiede allo stesso tempo di osservare i suoi comandamenti, soprattutto quelli difficili?

In “La grazia è un incontro. Se Dio ama gratis, perché i comandamenti” (Libreria Editrice Vaticana 2024), Candiard apre la sua riflessione riprendendo la domanda che il giovane ricco pone a Gesù in Mt 19,16: “Maestro cosa devo fare di buono per avere la vita eterna?”.

E, nel tentativo di rispondere, il teologo domenicano ripercorre in maniera sintetica gli ormai millenari dibattiti teologici, i vari scismi, la controriforma, i concili che hanno segnato la storia della Chiesa.

Ciò che è essenziale “abbaglia come il sole estivo di Galilea che si avvicina allo zenit”, scrive Candiard. Eppure, nonostante il bagliore infiammato e fulgido di questo “essenziale”, l’uomo ancora non riesce a coglierlo facilmente, ancora è cieco all’amore di Dio, ancora si rifiuta di indossare l’abito nuziale.

È esattamente questo ciò che cerca anche il giovane ricco: qualcosa di vero, di pieno ed esaustivo, che rimanga per l’eternità.

Egli ha la grazia di domandare direttamente a Gesù, che gli risponde: “Se vuoi essere perfetto, vai, vendi quello che possiedi, dallo ai poveri e avrai un tesoro nel cielo; e vieni! Seguimi!

E la risposta di nostro Signore è dura e cruda, travolge ed abbatte le mura dell’anima e, per quanto esplicativa, fa riemergere di nuovo il dilemma millenario e scismatico sul valore della grazia e su quello delle opere, sul quale è recentemente tornato anche Papa Francesco: puntando tutto sulla prassi, sulle opere di assistenza e sulle cose pratiche da fare, si rischia di togliere sacralità alla liturgia e ridurla a semplice “routine”, o di svuotare la preghiera d’anima e di significato, mentre ciò che Cristo ci chiede è apertura piena e totale all’amore di Dio.

Da ultimo, Candiard scrive: “Nella Chiesa spendiamo un sacco di energie, di omelie e conferenze a lamentarci di quanto sia difficile obbedire al comandamento di Cristo e quindi amare il prossimo come noi stessi. Ci sforziamo di aggirare la difficoltà a forza di abilità esegetica e di retorica, spiegando che amare non è necessariamente quello che pensiamo, che è già tanto fare del proprio meglio, volere il bene o non fare del male. E non mi spiego come mai, nel frattempo, ci occupiamo molto meno del nostro vero campo di attenzione, cioè lasciarci rivestire dell’abito nuziale, lasciarci amare, accogliere il Regno che ci è dato”.

 

(a cura della Libreria delle Volte)