«Settimo, non rubare. Così viene insegnato ai bambini che si preparano alla prima comunione. Un insegnamento fondamentale che si colloca alla base della nostra civiltà. E soprattutto da mettere in pratica nella vita quotidiana senza scendere a compromessi». Lo scrive l’arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei Gualtiero Bassetti nel suo ultimo articolo pubblicato da Il Settimanale de «L’Osservatore Romano» in edicola venerdì 2 febbraio, dedicato al Settimo Comandamento.
Il presule offre un’ampia e articolata riflessione sull’inquietante fenomeno della corruzione evidenziando che «Papa Francesco, sin dall’inizio del pontificato, non ha lasciato spazio a fraintendimenti su questo tema e ha usato parole fermissime. La corruzione, ha detto il Pontefice in più occasioni, è un “cancro”, un “virus”, un “tarlo” e un “carcere”. Lo ha ribadito di recente in Cile e Perú riferendosi, in particolare, alla vita politica, e ancora lo ha ripetuto nel videomessaggio sull’intenzione di preghiera per il mese di febbraio».
Dati sulla corruzione che non possono lasciarci indifferenti.
«Nel tempo che precede le elezioni politiche in Italia – scrive il cardinale Bassetti – la corruzione è, senza dubbio, un tema di grande importanza. Tutta la classe politica la stigmatizza come una malattia sociale da combattere in ogni modo. Eppure le cronache ci raccontano quasi ogni giorno casi di corruzione, più o meno gravi, che riguardano un po’ tutti i livelli della società. Secondo alcune statistiche, l’Italia nel 2016 era tra i paesi più corrotti d’Europa, al terz’ultimo posto di questa drammatica classifica, superata soltanto da Grecia e Bulgaria. Alcuni giornali hanno addirittura commentato che l’Italia è un “paese in balia della corruzione”».
Sbagliato collegare la corruzione solo all’ambito politico.
«Non so se le cose stiano realmente così – prosegue il porporato –. Io sono convinto che in Italia ci siano persone perbene e talenti inespressi che meritano di essere valorizzati. Senza dubbio, però, questi dati non possono lasciarci indifferenti: ci riguardano come pastori, come credenti e come semplici cittadini. Ci riguardano tutti, insomma, e non possiamo far finta di credere che è sempre colpa di qualcun altro, che le responsabilità siano solo di qualche determinato attore sociale o, come è abitudine dire, della politica. Anzi, penso che sia sbagliato collegare il fenomeno della corruzione solo all’ambito politico. Temo, invece, che la vita politica rispecchi abbastanza fedelmente quella sociale».
Quante volte chiudiamo un occhio, o meglio, ci laviamo le mani.
«E allora non possiamo far finta di nulla – sostiene Bassetti –. Prima ancora della corruzione che emerge pubblicamente essa è una dimensione morale ed esistenziale che si colloca a livello personale e comunitario: è un virus che, come ha detto il Papa, infetta, prima di tutto, i nostri cuori e poi si propaga nella società. Quante volte, dobbiamo chiederci, scendiamo a compromessi per difendere i più miseri interessi particolari? Quante volte sul posto di lavoro, nelle riunioni di condominio, nelle scuole, nelle parrocchie e in mille luoghi chiudiamo un occhio, o meglio, ci laviamo le mani, davanti a quello che chiamiamo un male minore per ottenere qualcosa per la nostra vita? Ecco, da qui, si sviluppa il germe malato della corruzione. Un agente patogeno che nasce da un pervicace individualismo e da una sostanziale indifferenza verso il bene comune».
La “banalità del male” si combatte nei comportamenti quotidiani attraverso la moralità pubblica.
«Un’indifferenza pericolosa – sottolinea il cardinale – che mette in luce il lato più pericoloso del fenomeno corruttivo: la “banalità del male”. Ovvero, un fenomeno così diffuso in ogni piega della società da sembrare banale, e perciò non degno della nostra attenzione e della nostra preoccupazione.
In definitiva, anche se molte persone si stracciano le vesti davanti ai casi più eclatanti di corruzione, ciò che manca è la responsabilità personale e comunitaria dei propri gesti. Perché è soprattutto nei comportamenti quotidiani che si gioca la partita più importante: quella della moralità pubblica. Una moralità che non può essere imposta solo con la forza del diritto, ma che deve essere acquisita con la centralità di una cultura che per difendere la dignità umana di ogni persona deve ripetere: settimo, non rubare».