San Costanzo simbolo di unità. La luminaria, che ieri sera ci ha visti partecipare numerosi alla processione da Palazzo dei Priori alla chiesa di San Costanzo, è stata l’occasione – oltre che per invocare luce sulla giornata di ciascuno – anche per ringraziare quanti, nella Chiesa come nella Città, portano luce con il loro servizio: per chi diffonde la luce ragionevole della fede e della speranza – in particolare la gratitudine va a diaconi e sacerdoti, tra i quali ricordo don Claudio Faina, che oggi celebra il primo anniversario dell’ordinazione –; grazie, quindi, per quanti portano luce con la loro presenza qualificata e operosa nei luoghi della sofferenza e della carità – ospedale, hospice, case di riposo, Caritas –; grazie per gli uomini e le donne che, nei diversi ambiti della vita civile e sociale, interpretano il loro impegno come servizio del bene comune: amministratori, magistrati, forze dell’ordine, giornalisti. San Costanzo diventa così un simbolo di unità tra la tradizione della fede e la storia della nostra città. Come credenti onoriamo in San Costanzo un padre nella fede. Come perugini lo riconosciamo patrono della città e fondatore della diocesi, della quale a metà del secondo secolo è stato il primo vescovo.
Rinverdire le nostre profonde radici. Sono, dunque, radici profonde le nostre; ma, oggi, fino a che punto possiamo dire che siano ancora feconde? Ed, eventualmente, cosa fare per rinverdirle?
Ancora: San Costanzo ha pagato con la vita la sua fedeltà al Vangelo; il suo martirio lo avvicina a quello di tanti credenti che anche oggi in varie parti del mondo sono discriminati, torturati e martirizzati.
La libertà religiosa è un diritto essenziale per tutti; oggi, la fede cristiana è la più perseguitata: l’ultimo attacco armato, ieri in una chiesa a Istanbul, in Turchia. In alcune parti del mondo, il Cristianesimo è semplicemente scomparso (Nord Africa) o ridotto al lumicino (Terra Santa, Iraq, Siria…).
E noi come ci poniamo? Forse restiamo intimiditi e disorientati dal cambiamento d’epoca che ci coinvolge e che sta già trasformando in modo sensibile anche il volto della Chiesa: diventa sempre più importante il rapporto personale, mentre spesso i responsabili delle comunità si trovano il tempo sottratto da strutture sempre più difficili da gestire.
Senza sottovalutare le difficoltà, se interrogassimo San Costanzo, probabilmente ci aiuterebbe a maturare uno sguardo fiducioso; ci aiuterebbe, ad esempio, a riconoscere i tanti che, anche in mezzo a questa stagione confusa, affrontano la vita quotidiana affidandosi al Signore.
La Chiesa fiorisce nella relazione con Dio, non in virtù di qualche privilegio. Se chiedessimo consiglio al nostro Patrono, probabilmente ci rimanderebbe alla pagina evangelica appena ascoltata, per ricordarci che la Chiesa fiorisce sociale, ma nella relazione con Dio, nel legame con il Signore Gesù, nella fraternità con gli altri: “Come il Padre ha amato me, anche io ho amato voi. Rimanete nel mio amore…Questo vi comando: che vi amiate gli uni gli altri”.
Siamo un mistero in cui si nasconde e opera l’amore; è l’amore che ci dà identità: l’amore di Dio, inseparabile dall’amore agli altri; l’amore che, come diceva il profeta Isaia, ci invia come Chiesa, “a portare il lieto annuncio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l’anno di grazia del Signore”.
Il cambiamento in atto si rivelerà un’opportunità. Questa missione – con le scelte che impone – disegna il nostro programma pastorale. Il cambiamento in atto si rivelerà un’opportunità, se lo sapremo vivere così. Ci consegnerà una Chiesa più povera, ma più libera e radicata nell’essenziale; una Chiesa più credibile, perché più credente; una Chiesa capace di farsi prossima alle ferite, alle gioie, alle paure e alle speranze di ognuno per essergli segno e strumento della tenerezza del Padre.
I frutti già si intravvedono, perfino nel cuore dell’inverno. Penso, anche qui per esemplificare, ai giovani che si avvicinano alla Chiesa per prepararsi al battesimo. Molti di loro sono cresciuti in un’altra cultura e in un’altra religione – convertirsi dalla quale è davvero rischioso –: quando chiedo perché vogliano diventare cristiani, rispondono di aver incontrato persone, famiglie e comunità accoglienti; di aver riconosciuto nel Vangelo la proposta di una vita buona, lontana da ogni forma di violenza e di paura, capace di perdono, di riconciliazione, di amore.
Le vere riforme della Chiesa sono state attuate dai Santi. Cara gente, come sollecitavo nella Lettera pastorale, “andiamo avanti con coraggio, memori che le vere riforme della Chiesa sono state attuate dai Santi”. Dai Santi di ieri e dai tanti Santi di oggi, uomini e donne che – come Abramo, da amici di Dio – intercedono per la città.
La via è tracciata. Ci sia data la grazia – la chiedo innanzitutto per me, quale indegno successore di Costanzo – di percorrerla per la nostra parte, senza disertare le responsabilità che sono affidate a ciascuno.
Don Ivan Maffeis
Vescovo
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