Perugia non fa mancare la sua costante vicinanza al dramma dei martiri cristiani e delle popolazioni sofferenti in Medio Oriente, in particolare in Siria. Lo testimonia la numerosa presenza di perugini sia alla preghiera serale con la recita del rosario, del 20 aprile, davanti al monumento-simbolo della città, la Fontana Maggiore illuminata di rosso, il colore del sangue dei martiri, sia alla conferenza dal titolo: “Il dramma dei cristiani in Medio Oriente – Testimoni dalla Siria”, tenutasi nel pomeriggio del 21 aprile in una gremita Sala del Dottorato delle Logge della cattedrale di San Lorenzo (seguita in diretta nella vicina Sala San Francesco dell’Arcivescovado, anch’essa gremita).
La conferenza, introdotta dalla dott.ssa Elena Fruganti del Comitato Nazarat di Perugia che organizza il 20 di ogni mese (ore 21), presso la basilica minore di San Costanzo, una preghiera con la presenza di un testimone diretto proveniente dalle aree di conflitto, ha visto intervenire il cardinale Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, padre Giuseppe Battistelli ofm, commissario di Terra Santa per l’Umbria, che ha moderato i lavori portando la testimonianza dei Frati Minori «in prima linea in questa tragedia», Alessandro Monteduro, direttore della Fondazione pontificia sorta nel 1947 “Aiuto alla Chiesa che Soffre Onlus”, Ayman Haddad, italo-siriano residente a Todi, docente di Lingua e cultura araba, e Gian Micalessin, giornalista inviato di guerra, dal cui racconto traspare un cronista dallo sguardo profondo, che non si accontenta delle veline propagandistiche, ma parte per il fronte, per vedere e raccontare.
Tutti gli interventi, ad iniziare da quello del cardinale Bassetti, che ha raccontato la sua recente esperienza in Libano dove ha incontrato profughi siriani e iracheni, restando molto colpito dalla sofferenza di tanti bambini, si sono basati su testimonianze dirette di ciò che è il conflitto in Medio Oriente, in particolare in Siria e in Iraq. Non si sono ascoltate delle relazioni di circostanza, ma interventi da cui «è emersa la forza della fede cristiana nel contribuire alla pace» e si sono udite «parole che aprono il cuore alla speranza che nutre ogni cristiano». Si è parlato del Medio Oriente, un’area geografica che non può non stare a cuore all’Occidente, perché, come è stato ricordato a gran voce, «è la culla della nostra civiltà cristiana», una civiltà che oggi rischia di essere cancellata dalle violenze che subiscono quanti la rappresentano per fede e cultura. Non sono mancate parole forti nel denunciare il «virus dell’indifferenza» di istituzioni e media occidentali, fatte salve alcune eccezioni, mentre «l’Occidente dei popoli ha fatto qualcosa di straordinario», ha commentato Alessandro Monteduro, come non far calare il silenzio sul dramma mediorientale. E quanto è stato fatto a Perugia il 20 e il 21 aprile è una testimonianza. La sfida della fede cristiana sta proprio nello sconfiggere il «virus dell’indifferenza» attraverso il «vaccino dell’informazione, della preghiera (per i credenti) e il sostegno materiale alle minoranze e ai perseguitati». Ad esempio la Fondazione “Aiuto alla Chiesa che Soffre” ha finanziato progetti per oltre 60 milioni di euro, aiutando così il 42% dei cristiani a ritornare in Iraq, fuggiti a causa delle persecuzioni. Altro elemento emerso nella conferenza è che prima della caduta delle dittature in Medio Oriente, «musulmani e cristiani vivevano in una sintonia quasi perfetta, grazie alla laicità dello Stato», ha sottolineato Ayman Haddad.
Il cardinale Gualtiero Bassetti, parafrasando papa Francesco, ha detto che «la pace rimane un lavoro artigianale, che richiede passione, pazienza, esperienza, tenacia. Più che in altri momenti, questo è il tempo in cui crederci fino in fondo, immaginando iniziative di incontro e di scambio, convinti che ogni volta che apriamo il cuore oltre i confini di casa torniamo arricchiti per affrontare con più forza anche le problematiche che angustiano la nostra gente». Invitando a leggere un suo recente editoriale diffuso dall’agenzia di stampa Sir ai settimanali cattolici (l’umbro La Voce l’ha pubblicato in prima pagine del numero in edicola questo fine settimana), il cardinale ha richiamato la nota parabola evangelica «di un uomo che, scendendo da Gerusalemme a Gerico, incappa nei briganti che gli portano via tutto, lo percuotono a sangue e lo lasciano mezzo morto sul ciglio della strada. Oggi quell’uomo ha anche un volto: è quello – e sono milioni – dei siriani sfollati nei Paesi confinanti o costretti a farsi profughi interni; di quanti sono privi dell’acqua, del cibo e dell’accesso alle cure sanitarie essenziali; dei 27mila bambini uccisi senza un perché e di tutti gli altri privati degli affetti di una famiglia, del calore di un’aula scolastica, della stessa possibilità di avere un’infanzia. Mi torna con prepotenza alla mente – sottolinea il porporato – questa scena evangelica, mentre cerco di capire il dramma che si sta consumando sulla pelle di una popolazione civile stremata da otto anni di guerra. Sì, abbiamo visto ammainare la bandiera nera dell’Isis, ma la strage degli innocenti non si ferma. Continua con il ricorso alle armi chimiche. Continua con il coinvolgimento diretto delle grandi potenze, che – come ha osservato papa Francesco domenica 15 aprile – “nonostante gli strumenti a disposizione della comunità internazionale”, faticano a “concordare un’azione comune in favore della pace”. Penso a quanto siano profetiche le parole del cardinale Mario Zenari, nunzio apostolico a Damasco, che lo scorso mese ci descriveva una situazione che vede agire sul terreno gli eserciti più potenti del mondo con linee rosse molto vicine e cacciabombardieri siriani, russi, israeliani e della coalizione di 60 Paesi a guida americana solcare i cieli. Zenari ci testimoniava anche l’impegno rischioso e coraggioso di tanti buoni samaritani – Chiese, organizzazioni umanitarie, Ong – disposti a farsi prossimo nelle mille forme della carità solidale, a cui deve unirsi, secondo l’appello del Santo Padre, la nostra incessante preghiera per la giustizia e la pace».