Ponte Felcino, Villapitignano e Casamanza, una delle 32 Unità pastorali del’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, sono in costante crescita demografica come anche i problemi sociali di una popolazione (13mila abitanti) sempre più multietnica e multireligiosa. A parlarne è mons. Alberto Veschini, parroco moderatore di quest’Unità pastorale, vicario episcopale della IV Zona pastorale (Alta Valle del Tevere), già segretario particolare degli arcivescovi Cesare Pagani e Ennio Antonelli. Don Alberto è nato settanta anni fa a Deruta, ordinato sacerdote nel 1971 e dal 1995 è parroco di Ponte Felcino, profondo conoscitore dei problemi sociali della sua comunità.
Ai microfoni di “Gocce di Carità” di Umbria Radio (la trasmissione quotidiana curata dall’Ufficio stampa della Caritas diocesana) il parroco evidenzia due “povertà emergenti”, quella della scarsa accoglienza-integrazione degli immigrati e la riluttanza ad avvicinarsi al sacramento dell’unzione dei malati. Quest’ultima è una “povertà di fede”? La risposta può essere colta nell’intervista a mons. Veschini in onda la prossima settimana (da lunedì a venerdì, ore 8 e ore 20). Di seguito anticipiamo alcuni dei suoi contenuti.
«Viviamo in un momento storico in cui cambiano molte cose e dobbiamo tenere conto che gli italiani stanno invecchiando; tant’è vero che nelle nostre parrocchie diminuiscono a vista d’occhio – commenta don Alberto –. Non c’è il ricambio generazionale di un tempo, perché nascono sempre meno figli. Di questo ne risente anche la partecipazione alla vita parrocchiale e sociale. E’ vero che solo Ponte Felcino conta più di 6mila abitanti, però bisogna tener conto che almeno 2mila persone non sono italiane. Abbiamo una presenza numerosa di cittadini extracomunitari tra cui molti del Sud America e dell’Europa dell’Est, che controbilanciano la presenza dei musulmani, che sono in numero rilevante. Non dimentichiamoci che a Ponte Felcino c’è stato, alcuni anni fa, l’arresto dell’imam. Anche se adesso la moschea è meno frequentata, perché molti sono rientrati nei loro Paesi di origine, in particolare del Magreb, a causa della diminuzione del lavoro in Italia, la comunità mussulmana è consistente».
Altro argomento affrontato da mons. Veschini, come annunciato, è quello dei sacramenti. «Anche se sono ancora in tanti ad avvicinarsi al battesimo, comunione e cresima – spiega il parroco –, il sacramento dell’unzione dei malati presenta delle difficoltà che vengono dalla “cultura” odierna. Oggi si ha paura della morte e si ha paura che il malato prenda coscienza di questo. Per cui non è facile che i sacerdoti vengano chiamati dalle famiglie per l’unzione dei malati, lo fanno solo le persone più sensibili. Io, quando faccio le catechesi agli adulti, incoraggio sempre a chiamare il prete non all’ultimo momento, però questo non è sempre così scontato. Ci dimentichiamo che l’unzione dei malati è fatta per confortare, per aiutare a vivere quest’esperienza che è quella più importante della vita. Se non riusciamo a vivere la morte come una cosa naturale ed inevitabile, siamo i più sfortunati del mondo perché abbandoniamo le persone nel momento in cui hanno più bisogno di essere aiutate. Nei miei quarant’anni di sacerdote ho visto come di fatto questo sacramento possa aiutare i malati e i loro familiari a vivere diversamente la malattia del proprio congiunto, però c’è questa mentalità della paura».
«La paura – prosegue don Alberto – è come un fatto inconscio, come quella per l’extracomunitario. Ad esempio, a Ponte Felcino sono stati allontanati i migranti dal locale Ostello, perché è stato messo in testa alla gente che queste persone sono pericolose. Invece non si è mai verificato nessun inconveniente con queste persone, però si specula politicamente sulla paura della gente».
Ritornando all’importanza dell’unzione dei malati, essa può essere colta come una “medicina”. A raccontarlo è ancora mons. Veschini nel ricordare «un’esperienza particolare non per merito mio, naturalmente – afferma il parroco –, perché nella mia vita ho visto molte persone guarite dopo aver ricevuto l’unzione dei malati. In particolare ho presente un signore che adesso avrà 35 anni, che una decina d’anni fa stava morendo a causa di una grave malattia e i familiari mi chiamarono. Oggi questa persona vive bene e periodicamente si sottopone a delle cure».