Il convegno di Perugia “Dignità e lavoro” promosso dalla Caritas diocesana nella giornata del 16 novembre sulla scia del proficuo progetto “SoSteniamo il lavoro” è proseguito in mattinata con gli interventi dell’economista Leonardo Becchetti, ordinario presso l’Università degli Studi di Roma “Tor Vergata”, del segretario confederale CISL Andrea Cuccello e dei manager di Umbragroup Spa e Gi Group Spa Carlo Odoardi e Antonio Bonardo. Questo pomeriggio sono in corso la tavola rotonda con rappresentanti del mondo produttivo e sindacale umbro e dei workshop aperti a studenti su temi specifici. Attese nel tardo pomeriggio le conclusioni del cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti su questa giornata perugina dedicata al lavoro.
L’economista Becchetti ha parlato di «sistema socioeconomico instabile» con «tutti miliardari precari, perché la ricchezza digitale di oggi (risorse a cui poter attingere tramite le connessioni web) è inestimabile, ma questo non basta: ci vogliono le competenze. Infatti tutte le ricerche concordano nell’affermare che un terzo dei cittadini vive bene, quelli che hanno alte competenze. Le condizioni dei restanti due terzi vanno peggiorando. Oggi le aziende sono pronte a delocalizzare la produzione in Paesi che hanno un costo del lavoro molto basso (e che spesso sfruttano anche i propri dipendenti offrendo salari più bassi della media dello stesso Paese). Per questo i lavoratori hanno uno scarso potere contrattuale, vivono sotto la minaccia che il lavoro venga trasferito all’estero. Del resto il lavoro nel mondo sta aumentando: il problema è la distribuzione della ricchezza, che non è assolutamente equa. Oggi i giovani vanno aiutati a risalire la scala dei talenti. E’ fondamentale avere un talento, un pallino: la generatività nasce da un desiderio che va stimolato. La generatività rende felici le persone. Vanno create reti di protezione universali (tipo la cassaintegrazione però estesa per tutti i tipi di lavoratori), questi presidi però non devono rendere le persone passive, ma creare le condizioni per metterle in moto. Fondamentale sarebbe aiutare l’economia interna incoraggiando i prodotti nazionali: non brutalmente con un dazio, come fa Trump, ma ad esempio aumentando l’iva su prodotti che vengono da filiere dove il lavoratore viene ingiustamente sfruttato, sia che siano prodotti italiani, sia che siano stranieri. Le Settimane Sociali hanno dato vita a un modo nuovo di guardare al lavoro: avviando la ricerca delle buone pratiche già esistenti (#cercatoridilavoro) si vogliono stimolare i giovani a prepararsi in modo nuovo al futuro».
Il sindacalista Antonio Cuccello ha detto che «stanno cambiando i paradigmi precedenti. Siamo in una fase di transizione, stili di vita, consumi ma anche relazioni tra le persone. Questo epocale cambiamento va affrontato insieme, istituzioni e società. Il grave disagio sociale è stato causato da scelte politiche passate iperliberiste, che hanno subordinato l’economia alla finanza e la persona al profitto… Bisogna agire sul piano culturale, nelle regole che regolano lavoro e profitto, ma che non siano autoreferenziali. Il lavoro si è deprezzato per le scelte fatte. Non esiste più una “teoria del lavoro”, né un pensiero su di esso. Il lavoro è uno dei fattori dell’economia, senza finalità, senza importanza. Basti pensare che le rendite finanziarie sono tassate meno del lavoro… Ma invece lavorare dona dignità, fa crescere, fa aumentare le relazioni, educa ad affrontare la vita ed educa a stare in comunità. La conoscenza digitale è un bene, ma va gestita, altrimenti diventa un fattore di disuguaglianza. C’è grande disgregazione sociale anche perché mancano i fattori di intermediazione sociale. Oggi bisogna stare vicino alle persone per non farle sentire sole».
Il manager Carlo Orlandi ha evidenziato la «valorizzazione della centralità della persona nel lavoro. Molto spunto è dato dalla Dottrina Sociale della Chiesa. Ma l’innovazione – vero fattore di crescita delle aziende – sta nella testa delle persone. Rendere il mondo un posto migliore è l’obiettivo. Cosa stiamo facendo per diventare innovatori? Nei Paesi leader d’innovazione c’è un forte investimento sulle persone. Dobbiamo mettere le persone in grado di dare il meglio di sé sul lavoro. Nelle aziende bisogna integrare il processo manageriale (gestione) con il processo di leadership (guida). Ma senza la fiducia nella persona non si può fare nulla. Il nuovo modello di leadership è la “servant leadership”, leadership di servizio; essere a servizio del proprio collaboratore affinché egli cresca, impari, sia stimolato. Non si può essere gelosi della propria posizione e porsi nella condizione di dominio, altrimenti non cresce nulla».
Il rappresentante di Gi Group Antonio Bondardo ha sottolineato che «fino a qualche anno fa le agenzie del lavoro non esistevano. Invece ben venga che ci sono e ben venga l’investimento sui centri per l’impiego programmato dal governo. Oggi l’iniziativa Caritas “SoSteniamo il lavoro” è paradigmatica, un po’ come furono gli ospedali, sostanzialmente inventati dalla carità cristiana. Le agenzie di lavoro hanno un rapporto diretto con il territorio e con le aziende, ne conoscono le reali esigenze. C’è purtroppo un disallineamento reale di richieste delle aziende e le competenze in possesso dei giovani. Spesso dimentichiamo che l’Italia è la seconda potenza manifatturiera d’Europa. E’ necessario puntare sull’apprendistato, stimolare le regioni affinché buona parte del Fondo sociale europeo sia investito sull’inserimento lavorativo. Resta fondamentale per i giovani avere competenze informatiche e conoscere l’inglese. Ma anche le cosiddette “soft skills” (capacità di risolvere i problemi complessi, creatività, gestione delle persone, lavoro in team, intelligenza emotiva). Persino la scuola dovrebbe innovare la didattica per stimolare queste “soft skills”. Infatti, quando la persona è motivata come abbiamo visto nelle testimonianze di oggi (delle due tirocinanti del progetto “SoSteniamo il lavoro”, n.d.r.), non c’è ostacolo che la possa fermare».