Don Ivan Maffeis, direttore dell’Ufficio nazionale per le comunicazioni sociali e sottosegretario della Cei, nel coordinare il lavori della sessione plenaria del mattino del convegno “Dignità e lavoro”, promosso a Perugia dalla Caritas diocesana venerdì 16 novembre, ha evidenziato che «il recente Sinodo dei Vescovi dedicato ai giovani ha consegnato un documento dove, fotografando la realtà del Paese, elenca tra i punti di debolezza, che rischiano di minare il tessuto sociale, quello della difficoltà dei giovani ad entrare nel mondo del lavoro ed ancor più la loro esclusione dal lavoro. I vescovi raccomandano, quasi impongono alle comunità cristiane, di sostenere progetti a favore dell’imprenditorialità giovanile e ad investire risorse economiche per l’inclusione nel mondo del lavoro».
Edi Cicchi, assessore comunale alle politiche sociali, nel portare il saluto del Comune di Perugia, ha detto che «i giovani fanno fatica a mettere su famiglia, il posto fisso non c’è più». Per questo «c’è bisogno di fare un’attività di sostegno all’imprenditoria in modo che i giovani possano trovare uno sbocco lavorativo anche attraverso le loro competenze e capacità redazionali. Quindi vanno sostenuti con più investimenti e incentivi e avvicinare di più la scuola al mondo del lavoro, oltre all’alternanza scuola-lavoro che in non poche situazioni non è strutturata in maniera che possa dare delle concrete prospettive». L’assessore ha concluso ricordando le parole del Papa quando ha parlato ai giovani di lavoro esortandoli a svolgerlo nel metterci «testa, mani e cuore».
Don Andrea La Regina, referente di Caritas italiana, ha parlato di «ascolto e di relazioni, elementi fondamentali per avviare progetti concreti di sostegno a chi è in difficoltà nel trovare un’occupazione, come è stato fatto per il progetto “SoSteniamo il lavoro”. Oggi è sempre più necessario tutelare il diritto al lavoro e il diritto al credito, la fiducia, ma bisogna anche rendersi conto che la visione dell’economia deve essere modificata. Se non superiamo la logica di un’economia che si basa solo sul profitto, che crea disuguaglianza, noi rischiamo di non creare quel lavoro libero e ricreativo, rispettoso della dignità, quindi non riusciamo a dare risposte all’“SoS” del titolo del progetto “SoSteniamo il lavoro”. L’opera della Caritas italiana e diocesane non è solo quello di rispondere alle emergenze e alle povertà, ma di dare una visione culturale e valoriale che metta al centro la persona, che favorisca la dignità e che soprattutto dia una forma di accompagnamento. La Chiesa non può essere un centro per l’impegno, questo lo fanno le istituzioni dando forza a questo strumento, la Chiesa deve creare relazioni che diventino azioni a favore dello sviluppo umano integrale».
Claudio Cominardi, sottosegretario di Stato al Ministero del lavoro e delle politiche sociali, ha incentrato il suo intervento sul reddito di cittadinanza, sostenendo, in sintesi, che «il lavoro è un tema centrale…, ma al centro va messa sempre la persona, perché sono decenni che si parla di disoccupazione e poco si fa per sostenere l’occupazione. Le Istituzioni europee lo chiedono attraverso una loro raccomandazione del 1992 rivolta agli Stati membri, quella di dotarsi di uno strumento di sostegno al reddito per contrastare le diseguaglianze». Basti pensare, ha detto il sottosegretario, che «le otto persone più ricche al mondo detengono l’equivalente della ricchezza della metà della popolazione mondiale (3,6 miliardi). Questi ricchi vivono nel lusso ma non potranno mai consumare quanto quei 3,6 miliardi di persone. Il reddito di cittadinanza, a mio avviso, è uno strumento fondamentale, ma da solo non è sufficiente. Questa riforma è fondamentale perché il reddito di cittadinanza è considerato come un riattivatore sociale e chi vi aderisce deve formarsi, dare delle ore del proprio tempo da mettere a disposizione delle comunità locali e dimostrare che sta cercando effettivamente lavoro. Parallelamente a questo provvedimento c’è quello strutturale della riforma dei Centri per l’impiego con lo stanziando annuale di un miliardo di euro». Il reddito di cittadinanza non è sufficiente, perché, ha detto Cominardi, «bisogno investire nell’innovazione. Siamo nell’era del digitale in cui si parla di intelligenza artificiale…, dove ormai quasi tutto si fa online ad iniziare dal conto in banca e dal prenotare un viaggio, ma bisogna gestire questo periodo di transizione con un sostegno al reddito che deve essere legato alla formazione perché siamo in un mondo in continua evoluzione. L’impresa non ha più la durata di un tempo, dove si tramandava di padre in figlio, ha una durata sempre più breve e nel periodo dove non si lavora bisogna garantire un reddito vitale. Oggi si è poveri facendo due o tre lavori e questo vuol dire che siamo sotto ricatto e quindi non si può per forza accettare qualsiasi lavoro ed è per questo che ribasisco che bisogna mettere al centro la persona».