Si sono aperte nella serata del 7 novembre le celebrazioni in onore del vescovo e martire Ercolano, “defensor civitatis”, Santo patrono della città e dell’Università degli Studi di Perugia, con la messa presieduta dal vescovo ausiliare mons. Paolo Giulietti nella chiesa dell’Ateneo che ha visto una nutrita partecipazione di studenti, docenti e personale non docente. I festeggiamenti proseguiranno nel fine settimana culminando con la celebrazione eucaristica, domenica 11 novembre (ore 10.30), presieduta dal cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti nella chiesa di sant’Ercolano.
Al termine della messa mons. Giulietti ha consegnato a ciascun laureato nell’anno trascorso, frequentatore del Centro di Pastorale universitaria intitolato al venerabile Vittorio Trancanelli, una lampada accesa come segno della propria vocazione cristiana ad essere “luce del mondo” nella professione futura, “perché gli uomini vedano le vostre opere buone e rendano gloria al vostro Padre che è nei cieli” (Mt 5,16). La consegna delle lampade è stata preceduta da una breve riflessione sul recente Sinodo dei Vescovi “I giovani, la fede e il discernimento vocazionale”. La Pastorale universitaria ha richiamato l’attenzione su due figure di santità: Giorgio La Pira e il medico chirurgo perugino Vittorio Trancanelli. Il primo, è stato ricordato, «amava dire che la credibilità della testimonianza cristiana che un fedele dà nel suo luogo di lavoro si fonda sulla sua indiscussa professionalità»; il secondo «rendeva incisiva la sua testimonianza cristiana quando nella “sua” sala operatoria doveva regnare la pace, quando pregava prima dell’intervento con il paziente, quando assisteva i malati oltre l’orario di lavoro e gratuitamente».
Sul senso del dovere e della responsabilità di ogni essere umano, che è alla base della «santità ordinaria dei cristiani», come ricorda spesso papa Francesco, mons. Giulietti ha incentrato la sua omelia evidenziando che «la santità non è legata a qualche opera straordinaria, ma è legata all’adempimento dei doveri del proprio stato. Potremmo dire che è santo chi non si sottrae alle proprie responsabilità e chi rimane al suo posto fino al dono della vita, come sant’Ercolano, che non fece cose straordinarie, ma rimanendo fu straordinario perché altre figure perugine di riferimento erano fuggite mentre la città era assediata dai Goti di Totila e per questo è ancora oggi chiamato “defensor civitatis”». Rivolgendosi al mondo universitario, il vescovo ausiliare ha detto: «Imitiamo Ercolano, testimone del dovere fino in fondo e del rimanere al proprio posto costi quel che costi».
Nel commentare il passo del Vangelo di Giovanni dedicato al Buon Pastore, scelto per la solennità di sant’Ercolano, mons. Giulietti ha osservato che «come il Buon Pastore, che rimase a proteggere il gregge dinanzi alla venuta del lupo, così il vescovo e “defensor civitatis” di Perugia non abbandonò la sua città davanti ai Goti. Il loro gesto non è altro che la fedeltà ai loro doveri ed è proprio questa fedeltà che li ha indotti a non fuggire. Oggi non è più di moda parlare di doveri e di responsabilità, ma la consistenza della nostra vita è legata a doppio filo a questa dimensione: la capacità di fare il proprio dovere anche quando non conviene; la capacità di rimanere al proprio posto anche quando è costoso farlo. Su queste persone si poggia la consistenza delle collettività a loro affidate, sia universitaria che familiare sia civile che religiosa, non su chi viene meno sottraendosi ai propri doveri nei confronti di queste collettività».
Soffermando sul «rimanere al proprio posto dei pastori delle Chiese», il vescovo ausiliare di Perugia ha richiamato l’attenzione su un fatto attuale. «Si parla molto delle ossa trovate nella Nunziatura a Roma – ha commentato mons. Giulietti –, ma nessuno dice che il nunzio apostolico a Damasco è l’unico ambasciatore rimasto al suo posto in tutti questi anni di guerra, come sono rimasti in Siria e in altre zone del mondo in conflitto i pastori delle Chiese, perché la responsabilità e la fedeltà alla missione affidata sono state più forti della guerra e della paura. E’ questa fedeltà, che è stata data a queste persone e a ciascuno di noi, ci rende santi nell’ordinarietà della nostra vita».