Perché un Mese Missionario?

Donne ed uomini che seminano speranza

E’ da qualche giorno che rifletto per cercare uno spunto con il quale dare risposta alla domanda “Perché un mese missionario?”, quando ecco mi sveglio e nel mio telefono compare la notifica della posta elettronica dell’ufficio Missionario che mi è stato chiesto di coordinare: Margherita mi invia dal Perù una lettera rivolta, tramite me, a tutta la comunità diocesana.

Aggiungo solo che essere missionario è nell’essenza di ogni battezzato che riceve l’abilitazione ad essere Sacerdote, Re e Profeta; la missione è proprio l’esercizio della profezia nella vita concreta delle persone che il Signore ci chiama ad incontrare.

 

Carissimo Massimo, scriviamo a te per tenere vicine le nostre parrocchie, la diocesi, tutti quelli che ci hanno accompagnato fino a qui.

Ci avevi chiesto le prime impressioni e invece eccoci a pochi giorni dal nostro rientro in Italia a raccontare quello che sono stati questi mesi trascorsi in Perù, in un piccolo paese a 3500 metri di altitudine sulle montagne delle Ande che si chiama Sapchà.

In questo posto ci sono solo strade di terra, pochissime macchine, la gente fa ancora una vita molto semplice: si fa tutto a mano, si ara con i buoi, si trasporta con gli asini, si consuma per lo più quello che si produce.

Io, Matteo e i bambini abbiamo vissuto nella casa parrocchiale e abbiamo aiutato nelle attività che ci sono qui: oratorio, doposcuola, visite ai più poveri e ai malati, manutenzioni e lavori agricoli con alcune persone a cui la parrocchia dà la possibilità di lavorare per qualche periodo.

C’è un’immagine che può spiegare il succo di quello che sono stati questi mesi per noi:

è come se il Signore ci avesse aperto una porta verso un paesaggio bellissimo, pieno di luce, dove la natura è padrona. Sapevamo che esisteva questo posto, avevamo visto le foto e ascoltato i racconti, lo conoscevamo già…ci siamo affacciati, siamo entrati ed abbiamo provato tanta meraviglia. Meraviglia per la bellezza delle montagne, per la semplicità con cui si vive, per il cuore di tante persone buone che vivono qui, per la loro fede semplice e sincera. Sapevamo che ci aspettava qualcosa di bello, ma non immaginavamo… ci siamo ritrovati con il cuore pieno di commozione, gratitudine, stupore.

E’ stato difficile all’inizio confrontarsi con la povertà, sentirsi dire “Regalami un po’ di pane”, “Non riesco più a lavorare e non mi basta quello che ho”, “Ho bisogno di viveri”. Anche questa povertà la conoscevamo già, sapevamo che c’era… eppure ci siamo trovati disarmati, con tante domande: Signore perché tutto questo? Come si può vivere così? Perché noi abbiamo avuto tutto e loro così poco?

Queste domande non trovano risposte, ma suscitano un forte desiderio: desiderio che la nostra vita non sia solo per noi, desiderio che ci sia il Signore. Lui che ha scelto questi poveri come suoi più cari amici, che ha dato loro una speranza, che ha scelto di stare vicino a loro, che può dare senso a tutto questo e alla nostra vita.

Sembrava assurdo qualche mese fa partire con cinque bambini piccoli e portarli in un posto così lontano da tutto. Ora al contrario è difficile portarli via: portarli via da un luogo dove il Signore “è di casa” e andare in un mondo dove invece è sempre più dimenticato, cancellato, deriso.

Torniamo in Italia con un grande sentimento di gratitudine per questi mesi e per il cammino che ci ha portati fino a qui. E torniamo con la fiducia e il desiderio che la strada si apra ancora davanti a noi come non sapremmo nemmeno immaginare o sognare.

Ringraziamo anche tutti voi amici delle parrocchie e della Diocesi, tutti i nostri amici sacerdoti e gli amici dell’Operazione Mato Grosso.

Quello che abbiamo potuto fare qui è stato possibile anche grazie alla generosità di tante persone vicine e lontane, a cui vorremmo riportare tutti i ringraziamenti e le benedizioni che abbiamo ricevuto ogni volta che abbiamo dato un po’ di viveri, del sapone, o un piatto di minestra.

Un abbraccio di tutto cuore, a presto.

Margherita e Matteo

 

Allora come concludere? Diciamo grazie a Margherita e Matteo che ci fanno vedere come sia possibile vivere e comunicare la speranza; un esempio concreto di servizio ai fratelli lontani ma nel contempo un arricchimento per tutte le nostre comunità che si sentono invitate, secondo le proprie capacità e possibilità, a rendere visibile l’amore che il Signore ha donato ad ognuno di noi, facendoci diventare figli e fratelli/sorelle in Cristo.

Buon mese Missionario, siate sempre seminatori di Speranza!

Massimo Pio diac. Gallì

Matteo Ficola e Margherita Germini con Cecilia, Gemma, Miriam, Agnese e Davide

Operazione Mato Grosso

Missionari a Sapchà diocesi di Huari (Perù):  Giugno-Ottobre 2024