Carissimi fratelli e sorelle, di Perugia e di ogni parte d’Italia, giunga a tutti i voi l’augurio di pace e bene.
Nella pagina del vangelo che abbiamo appena ascoltato Gesù parla di sé descrivendosi come il “buon pastore”. È soprattutto nel vangelo secondo Giovanni che il Signore svela qualcosa della sua identità profonda, e lo fa attraverso immagini che erano ben note ai lettori delle Scritture ebraiche.
Oggi è difficile vedere nelle periferie delle nostre città un pastore col suo gregge, e forse nutriamo anche dei pregiudizi per un mestiere in fondo umile e che crediamo legato ad una economia ormai passata e non più attuale.
Invece, chi ascoltava Gesù parlare di sé come del pastore “buono” – anzi, seguendo alla lettera il testo greco, del pastore “bello”, cioè del pastore “modello” – subito avrebbe ricordato due figure importanti per la storia del popolo ebraico, che erano state chiamate da Dio proprio mentre pascolavano un gregge: Mosè, che secondo il racconto dell’Esodo stava pascolando le pecore del suocero Ietro; e Davide, che – ultimo tra i suoi fratelli e dimenticato da loro – viene unto re di Israele quando torna dal pascolo. La Parola di Dio sembra dirci che il grande profeta e il santo re di Israele, ancor prima di poter guidare il loro popolo, dovevano aver imparato a prendersi cura del proprio gregge, per salvaguardarlo dai pericoli e condurlo a pascoli fertili.
Quando Gesù si descrive come il pastore buono, vuol dire che si prende di cura di tutti, fino ad impegnare la propria vita, come Dio – che è chiamato “il mio pastore” nel Salmo 23 – si impegna a non far “mancare nulla” al suo gregge e a guidare il suo popolo a pascoli erbosi ed acque tranquille…
Nel vangelo secondo Giovanni, Gesù dice di conoscere le sue pecore per nome e queste, che «ascoltano la sua voce» (Gv 10,3), lo seguono. Si sta descrivendo un vero rapporto profondo, intimo. Gesù non è come quei cattivi pastori che purtroppo abbandonano le pecore e fuggono (cf. Gv 10,12) quando insorgono pericoli, o come quelle guide – di cui parlava soprattutto il profeta Ezechiale – che guardano solo ai propri interessi e non si prendono cura dei poveri del proprio popolo… queste pecore, a causa della cattiva guida dei loro pastori corrotti, «si sono disperse e sono sbandate» (Ez 34,5).
Gesù conosce davvero coloro che chiama per nome! Sì, Gesù chiama ciascuno col suo nome, e ognuno riceve una chiamata particolare da Dio, e – spesse volte anche senza saperlo o riconoscerlo – desidera nel più profondo della propria anima di poter ascoltare non quelle voci passeggere che non dicono nulla o sono solo rumori di fondo, ma la voce del Creatore.
In questa domenica del Buon Pastore si celebra in tutte le comunità cristiane la 55a Giornata Mondiale di Preghiera per le Vocazioni. La frase biblica che ispira il cammino vocazionale della Chiesa Italiana, tratta dalle parole del figlio di Davide, il re Salomone, è: «Dammi un cuore che ascolta» (cf. 1Re 3,9). Il re è ancora giovane quando sale al trono, e ha bisogno di tutta la sapienza che viene dal Signore per poter governare il suo popolo: non chiede ricchezze o potere, ma un cuore aperto per poter compiere con giustizia la volontà di Dio.
In questo anno in cui i giovani sono al centro dell’attenzione pastorale dei Vescovi di tutta la Chiesa cattolica, che celebra un Sinodo su «I giovani, la fede e il discernimento vocazionale», preghiamo perché i giovani non disperdano le proprie esistenze seguendo pastori incapaci di dare la vita, e perché le nostre chiese imparino a valorizzare questi nostri giovani fratelli e sorelle che – come scrive l’anziano Giovanni nella sua Prima lettera – se custodiscono la Parola di Dio, cioè la voce del pastore buono che li guida, sono forti e vincono il Maligno (cf. 1Gv 2,14).