Omelia del Card. Bassetti alla solenne celebrazione per la traslazione delle spoglie del Venerabile Servo di Dio Vittorio Trancanelli

“O Felix Perusia sub his Patronis”. Perugia beata per i tuoi Patroni: Lorenzo, Costanzo ed Ercolano, ed ora ancora più felice, perché ad essi si aggiunge Vittorio, per le sue virtù venerabili.

 

Carissimi fratelli e sorelle,

 

oggi, dopo 20 anni, Vittorio Trancanelli torna in ospedale tra i suoi malati e i suoi colleghi. Torna in quell’ospedale che è stato il suo posto di lavoro ma che è stato soprattutto un luogo dell’anima: al servizio del prossimo, al servizio degli ultimi, alla sequela di Gesù.

D’ora in poi tutti i malati e tutto il personale medico-ospedaliero potranno sostare un momento davanti alle sue spoglie, invocando il Signore, recitando alcuni versetti della preghiera, che è stata composta in vista della sua beatificazione e canonizzazione: “Ti prego, Signore: ho bisogno del tuo aiuto per la mia situazione. Vieni in mio soccorso, per la intercessione di Vittorio, che ti ha riconosciuto nei poveri come Abramo ti riconobbe negli angeli a Mamre. Gloria a Dio, Trinità Santissima”.

In questa semplice preghiera vi è una sintesi sublime della vita di Vittorio attraverso tre parole: soccorso, poveri, Abramo. Il soccorso è una sorta di sinonimo della missione del medico. Significa accorrere in aiuto, ovvero dare tutto se stessi per curare e guarire i malati. Gianna Beretta Molla, diceva che la missione dei medici cattolici “non finisce quando le medicine più non servono” perché “c’è l’anima da portare a Dio”. E ogni medico ha l’autorità e la sensibilità per accompagnare l’ammalato.

I poveri non sono soltanto una categoria sociale, ma una modalità esistenziale. Nel primo testamento i poveri erano gli indigenti, i deboli, i mendicanti, gli afflitti. Nel secondo testamento i poveri sono i piccoli, gli eredi privilegiati del Regno di Dio. Quei piccoli che Vittorio ha accolto insieme a Lia. Sono i malati che ha curato fino a che le forze glielo hanno concesso. “Chi accoglie uno di questi piccoli accoglie me” dice il Vangelo. Accogliere i bambini poveri e malati nella sua casa, all’inizio piccola, ha significato veramente accogliere il Signore. Vittorio e Lia hanno messo in pratica l’ospitalità di Mamre.

Abramo è la terza parola che dicevo all’inizio ed è anche la figura biblica preferita da Vittorio. Abramo è “l’amico di Dio”, diceva Vittorio, e anche lui voleva essere tale. Oggi noi testimoniano che questa amicizia ha abbracciato l’intera sua esistenza.

 

Abramo rappresenta per tutti noi il padre della fede, che ha manifestato in modo esemplare nell’episodio della Genesi che si è svolto presso le querce di Mamre. La quercia, nel primo testamento, indica la sacralità del luogo: Deborah viene sepolta sotto una quercia. Tuttavia le querce di Mamre non sono solo un luogo geografico e sacro ma rappresentano un luogo generativo: sono il luogo dove nasce il popolo dell’alleanza. E questa nascita ha un presupposto fondamentale: l’accoglienza. E’ quanto Abramo ha fatto con i tre ospiti che gli si presentano. Inizialmente non comprende chi siano i tre pellegrini ma intuisce immediatamente che hanno bisogno di essere accolti: cioè di essere trattati con amore.

Quel gesto di amore di Abramo è un gesto fondamentale. L’ospitalità di Abramo è un’opera di misericordia e, al tempo stesso, una testimonianza autentica di fede. La sua ospitalità non è tanto l’adempimento di una norma di legge ma è un modo autentico di fare esperienza di Dio. L’ospitalità di Abramo rappresenta una delle più alte forma di carità.

E Gesù lo ricorda con chiarezza nel Vangelo: “Chi avrà dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché è un discepolo, in verità io vi dico: non perderà la sua ricompensa”. Gesù mette al centro della nostra esistenza l’amore infinito ed eterno del Signore. Un amore non sentimentale e non materiale. Un amore gratuito che si compie nell’accoglienza della vita senza scendere a compromessi.

L’amore di Dio è un amore eterno che non finisce e che si concretizza anche di gesti semplici, che possono sembrarci ininfluenti. Invece, nulla è ininfluente agli occhi di Dio: Quante volte abbiamo concesso un minuto del nostro tempo ad ascoltare un fratello in difficoltà? Quanto volte abbiamo dato una carezza ad un ammalato? Quante volte, come dice il Vangelo, abbiamo dato un bicchiere d’acqua a chi ce lo ha chiesto?

Non è un esempio casuale quello che fa Gesù: l’acqua è sorgente e potenza della vita. Senza l’acqua ci sarebbe il deserto e non ci sarebbe vita. Quante volte, dunque, ci siamo resi disponibili a generare la vita? Quante volte abbiamo accolto e ospitato la vita a casa nostra, nelle nostre città, nelle nostre comunità? E infine: quante volte abbiamo difeso la vita dalle mille insidie che la cultura dello scarto ci mette davanti spesso come soluzioni giuste a problemi drammatici?

Penso per esempio alla vita fragilissima del piccolo Charlie Gard, a cui va tutta la nostra attenzione, riflessione e preghiera. Come ha detto papa Francesco “la vita si difende sempre anche quando è ferita dalla malattia”. Non esiste una vita non degna di essere vissuta. Altrimenti è la “cultura della scarto”: ovvero ciò che non è utile si butta via. La vita, in realtà, è sempre dono e relazione, perché viene da Dio ed anche le leggi degli uomini hanno i loro limiti.

Questo Vittorio Trancanelli lo ha creduto e testimoniato fino in fondo: è stato malato tra i malati, povero tra i poveri, medico tra i medici. Senza scendere a compromessi, senza pensare alla carriera, senza badare di stare ai primi posti. Perché al primo posto c’era un’unica cosa: quella parola di Dio che si incarnava nella sua malattia e nei suoi pazienti. Quella parola di Dio che studiava con passione e intelligenza.

Fratelli e sorelle, vorrei, come vostro pastore, che tutti prendessimo consapevolezza del dono grande che il Signore ha fatto a questa nostra Chiesa perusino-pievese nella persona di Vittorio. Un uomo vero, senza maschera, impegnato con la mente a pensare, studiare, capire sempre cose nuove che potessero favorire la vita e i malati. Un cristiano che non si è mai vergognato di esserlo e di mostrarlo. Un marito e un padre tenero e appassionato, senza sdolcinature. Un cittadino critico e operoso; di poche parole e sempre in azione. Il suo riposo era lo studio, la preghiera e la Sacra Scrittura.

Un cristiano che bruciava d’amore per Cristo e per il prossimo, dotato di una spiritualità conciliare, aperta all’ecumenismo e all’unità dei cristiani. Vittorio, “un cristiano e basta”. come l’ha definito Don Elio Bromuri, che oggi partecipa dal Cielo alla nostra festa e alla nostra gioia. “Un cristiano vero”, come un “uomo vero”. “Così l’ho conosciuto – dice ancora Don Elio – l’ho apprezzato, l’ho amato e pianto. Ed ora mi rivolgo frequentemente a lui con il ricordo e la preghiera”.

Carissimi, è quanto continueremo a fare anche noi.

+ Gualtiero Card. Bassetti

Arcivescovo metropolita di Perugia-Città della Pieve