«Cento anni fa, il 18 gennaio 1919, don Sturzo lanciava l’appello a tutti gli uomini liberi e forti con cui fondava il Partito popolare. Senza dubbio un manifesto politico ma anche il traguardo finale di un lungo processo di maturazione sociale, culturale e soprattutto religioso. Un processo condiviso e non uno spot pubblicitario. Un processo complesso – passato attraverso una serie di sconfitte e dolorose lacerazioni a causa della guerra – e non una scalata veloce al potere». Lo scrive il cardinale Gualtiero Bassetti, arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei, nel suo articolo dal titolo “Liberi e forti”, pubblicato nella rubrica “Dialoghi” de Il Settimanale de «L’Osservatore Romano» in edicola venerdì 18 febbraio, già consultabile sul sito: www.osservatoreromano.va.
Tre grandi eredità.
Il cardinale Bassetti si sofferma su «tre grandi eredità» del manifesto sturziano, quanto non mai attuali nell’odierno contesto socio-politico italiano ed europeo, nel porsi la domanda: «Cosa rimane oggi di quell’appello? Moltissimo a mio avviso – sostiene il porporato –. Ma volendo sintetizzare rimangono soprattutto tre grandi eredità su cui vale la pena riflettere.
In primo luogo rimane la figura di don Luigi Sturzo, la sua umanità, la sua cultura e la sua fede», citando al riguardo importanti scritti di Vittorio Bachelet, Jacques Maritain e Giovanni Paolo II.
Lo spirito di servizio all’umanità ferita.
«In secondo luogo, di quell’appello – prosegue Bassetti – rimane lo spirito di servizio all’umanità ferita. Cento anni fa avevamo di fronte un’umanità travolta dalla Prima guerra mondiale: milioni di morti sul campo di battaglia e un mondo capovolto nei suoi valori e nelle sue gerarchie. Oggi, abbiamo un’umanità ferita “in interiore homine” e la Chiesa che si fa “ospedale da campo” dopo una guerra decennale combattuta non sui campi di battaglia, ma nei cuori e sui corpi degli uomini e delle donne. Alla guerra morale si è poi aggiunta una durissima crisi economica che ha distrutto certezze sociali che sembravano granitiche e ha generato paure collettive e riesumato antichi odi ideologici che minano la pacifica convivenza degli uomini».
La centralità della dottrina sociale.
«In terzo luogo, infine – scrive il presidente della Cei –, di quel manifesto di cento anni fa rimane l’assoluta centralità della dottrina sociale della Chiesa cattolica. Non mi stancherò mai di sottolinearlo: una dottrina sociale ricchissima e ancora in larga parte sconosciuta e mai attuata. Don Luigi Sturzo iniziò il suo impegno sociale dopo la pubblicazione enciclica Rerum novarum. Oggi abbiamo un vastissimo corpus di esperienze, cultura e proposte che meritano di essere condivise e messe in pratica. A partire dalla Laudato si’ che – denunciando il “paradigma tecno-economico” che riduce l’uomo e l’ambiente a semplici oggetti da sfruttare in modo illimitato e senza cura – ci esorta a custodire il pianeta e l’intera umanità che lo abita».
Rinuncia all’oppressione del povero e al razzismo.
Queste tre eredità dell’appello sturziano, evidenzia Bassetti, «parlano all’uomo contemporaneo, interrogano profondamente la nostra società così marcatamente individualista e nichilista e soprattutto esortano a una riflessione profonda tutti i cattolici. Perché quell’appello, come ho detto altre volte, è il prodotto di una stagione alta e nobile del cattolicesimo politico italiano che ha dato un contribuito fondamentale a costruire l’Italia contemporanea e a formare una civiltà basata sull’umanesimo cristiano. Una civiltà basata sulla dignità incalpestabile della persona umana che rinuncia, in nome del Vangelo, a ogni volontà di oppressione del povero e a ogni rigurgito xenofobo o razzista».
Resistere alla tentazione di seguire i falsi profeti.
Oggi essere “liberi e forti”, conclude il cardinale, «significa, prima di tutto, essere fedeli al Vangelo in ogni campo dell’agire umano, anche in quello politico, e farsi annunciatori gioiosi dell’amore di Cristo con mitezza, sobrietà e carità. In secondo luogo, significa resistere alla tentazione di seguire i falsi profeti che celebrano Dio soltanto con la bocca ma che invece celebrano se stessi e non sanno amare. E infine significa farsi difensori coraggiosi della persona umana in ogni momento dell’esistenza: perché la vita non si uccide, non si compra, non si sfrutta e non si odia».