Lo spirito della Quaresima
Una vita tentata – una vita purificata – il deserto dello Spirito
Carissimi sacerdoti diocesani e religiosi, carissimi consacrati, diaconi permanenti, seminaristi, famiglie e giovani,
per essere vicino a tutto il popolo santo di Dio della nostra amata Archidiocesi di Perugia – Città della Pieve, ho pensato di inviarvi una breve catechesi sul significato della Quaresima, particolarmente durante questo tempo di pandemia, che sta provando a fondo tante persone.
Rivolgo una particolare raccomandazione ai sacerdoti di leggerla e approfondirla, possibilmente coi catechisti, gli animatori parrocchiali e tutti coloro che saranno disponibili.
Penso che questa breve catechesi, senza nessuna pretesa, possa essere utile anche per i monasteri e le case dei religiosi. Le mie parole sono molto semplici; spero però che vi possiate intravedere l’affetto e la premura del vostro pastore.
La Quaresima è un tempo di sosta, che ci porta a vivere e ad approfondire la nostra esperienza di fede. La Chiesa ci presenta, nella prima domenica, il brano evangelico delle tentazioni di Gesù, secondo l’evangelista Marco: «Lo Spirito sospinse Gesù nel deserto e nel deserto rimase quaranta giorni, tentato da Satana». La tentazione non esula dalla volontà di Dio, perché lo Spirito sospinse Gesù nel deserto. Essa è quindi condizione normale, non solo dell’uomo, ma anche del cristiano. Tutta una letteratura edificante, ma a mio avviso non illuminata, ha posto la questione della tentazione quasi si trattasse di angoscia. È una posizione sbagliata: le cose non stanno così.
La tentazione come lotta, come combattimento, fa parte dell’esperienza umana e cristiana. Per questo Gesù all’inizio della vita pubblica, e non solo, l’ha sperimentata. Potremmo domandarci: perché ha fatto questa esperienza se, in fondo, alla tentazione non poteva soccombere? Penso che il motivo sia semplice: Gesù si è posto in tutto come misura e modello della vita del cristiano. E questo esprime anche la prima verità che vuole sempre ricordarci la Quaresima: la fede è, necessariamente, provata. Direi anzi: se non è tentata, non è fede. Così ci dice con chiarezza la Parola di Dio.
Qualcuno potrebbe domandarsi: perché la fede è un’esperienza tentata? Risponderei così: a causa del nostro limite. Difficilmente scopriremmo il nostro limite, il nostro peccato, la nostra fragilità se non ci sentissimo messi a prova. È la prova che ti fa scoprire il tuo limite, la tua povertà, la tua insufficienza, il tuo bisogno degli altri e, soprattutto, il tuo bisogno di Dio. «Perché tu eri accetto a Dio fu necessario che la tentazione ti mettesse a prova», ci dice la Parola del Signore. Dio sa calcolare bene, perciò ha fatto il conto con le nostre tentazioni e non ci mette alla prova più della forza che abbiamo.
Cari amici, senza questa prospettiva di fede provata, tutti rischieremmo di non saper distinguere fra la luce e le tenebre, il vero e il falso, il bene e il male, e quindi non maturerebbe mai in noi un vero processo di libertà. Purtroppo viviamo in una società in cui predomina il neo-illuminismo, cioè la pretesa di risolvere tutti i problemi con la ragione e ciò che la ragione può, quindi con la scienza e con la tecnica; e chi non si adegua a tale pensiero è considerato un arretrato, un incolto, se non addirittura un irresponsabile.
Possiamo davvero vincere tutto? Il Vangelo, che, oltre a esser vero, è un messaggio di saggezza, ci ammonisce chiaramente: chi si regge in piedi stia attento a non cadere. La fede, trattando qualcosa che va ben oltre la nostra ragione – il Mistero – ci spinge sempre oltre. «Duc in altum!»: vai al largo, supera il limite del tuo modo di vedere e di pensare, ci dice Gesù. La fede non è un’evidenza, non è un’emozione e nemmeno un sentimento. Purtroppo, quanta confusione alberga anche nella mente e nel cuore di tante persone buone che vanno in chiesa! La fede è “oscura” perché ci trascende, ma è la cosa più grande e meravigliosa perché è il “mistero”, indica che la nostra vita va ben oltre le nostre aspirazioni ed esigenze umane. E in questo senso siamo tutti sotto lo stesso tetto: vescovi, sacerdoti, consacrati, famiglie, parrocchie.
Sarebbe ingenuo e illusorio pensare di poter andare avanti nella vita senza prove, senza incappare in qualche ostacolo che ci si contrappone o in qualcuno che cerca di ferirci; come è puerile credere che una coppia, una famiglia, possa compiere il proprio itinerario umano e cristiano senza sentire mai la tentazione di mollare il cammino. E questo vale anche per i sacerdoti e i consacrati, le monache e i monaci.
Questa realtà la incontriamo nella vita di tutti i giorni perché riflettiamo la condizione reale dell’uomo viatore e del cristiano che vuol camminare secondo la volontà di Dio. Anche per la Chiesa, nel suo cammino fra gli uomini, ciò che deve preoccupare di più non è il tempo della prova, ma è quando sembrano non esserci contrasti o opposizioni nei confronti dei discepoli di Cristo. In tal caso, o si è mondanizzati o stiamo per mondanizzarci, perché Gesù ha detto: «Il discepolo non è di più del maestro; hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi». Lo ripeto, vedo serpeggiare fra noi una mentalità di acquiescenza, che non riflette l’essenza del vivere cristiano, che è sempre un cammino fra le prove. Da altre parti, la Chiesa soffre attacchi e persecuzioni, e non ci sono mai stati tanti martiri come al momento presente. La prova, la tentazione, è la garanzia che Dio c’è, ci tiene per mano e ci porta sempre su ali d’aquila.
La Quaresima ci ripresenta il tema di una vita purificata. È proprio la strada della purificazione la via diversa su cui noi dobbiamo intraprendere il nostro cammino. Nel Vangelo di Marco (1, 14-15) si legge: «Il tempo è compiuto, il regno di Dio è vicino, convertitevi e credete al Vangelo». Convertirsi vuol dire cambiare vita, altrimenti tutto il resto non conta nulla. I profeti lo hanno annunciato con parole precise ed esigenti: «Dei vostri sacchi di cenere, del vostro digiuno, io non so che farmene – dice il Signore. Io voglio che prima viviate la giustizia, che osserviate le mie leggi, che aiutiate gli oppressi, che difendiate gli orfani e le vedove». Ecco quanto è importante il tempo quaresimale nel mistero dell’anno liturgico, perché ci riporta al cuore e alla mente la base dell’itinerario cristiano. Se non si coglie questa verità, potremmo fare anche un’accozzaglia di pratiche di pietà, ma non saremmo accetti al Signore: eserciteremmo un culto sterile ed inefficace.
Il culto cristiano, come ci richiama continuamente Papa Francesco, è il culto di un cuore umile, sincero e schietto. In una parola, il culto di chi non vive più per sé, ma per amore. In Italia ci sono migliaia di Sante Messe nel giorno del Signore, ma purtroppo le cose, nella mentalità dei credenti, cambiano poco.
Cosa dobbiamo fare? C’è chi si accontenta e dice: «Ringraziamo il Signore che un certo numero di persone continua a venire in chiesa». Risposta buona; ma sarebbe il caso di domandarci: «Perché vengono? Come vengono? Cosa cambia di fatto nella vita?». La Quaresima, coi suoi ritmi e le sue cadenze, potrebbe diventare un vero itinerario battesimale, un cammino paziente che ci orienta in un cambiamento di mentalità e di vita. Anche il ritorno al Sacramento della Penitenza, nelle forme più adatte e consentite, più che un impegno devozionale, dovrebbe essere un riferimento battesimale. Infatti, si tratta di restaurare la vita del battesimo che abbiamo interrotto o che va debitamente recuperata. Ma il compimento della purificazione quaresimale ha un obiettivo specifico: la carità, intesa come Agape.
Cos’è, allora, cambiare vita? Passare dall’amore di sé all’amore di Dio e degli altri. Passare dall’egoismo alla carità. Tutti i testi biblici che parlano della penitenza culminano sempre in questo richiamo: l’aiuto ai fratelli, il soccorso al prossimo. Dunque, la vera penitenza cristiana è amare. Perché amare è perdere sé. La vera penitenza cristiana non è “fare”, neppure compiere le “opere”, se non c’è l’amore. La vera penitenza è trasporre noi, da noi agli altri. La vera penitenza cristiana è questo mutamento di luogo. Il nostro luogo non è più il nostro io, ma l’io dell’altro nell’io di Dio.
Per comprendere bene quanto sto affermando, vi invito a rileggere, dal capitolo XIII della lettera ai Corinti di san Paolo, l’inno alla carità. E questo vale per tutti. Se in una comunità religiosa, in un seminario, in una famiglia, nella parrocchia, non c’è la carità, quello che si fa non serve a nulla. Questo vale nel matrimonio, fra marito e moglie, nel rapporto con i figli: il ricominciare, il tentare sempre di avere fiducia, la pazienza di un amore che traspone il proprio io nell’altro. Questo vale in ogni ambito della vita cristiana. Quando diciamo: «Dobbiamo difendere il matrimonio, la famiglia!», che significato ha, se manca tutto questo?
Infine, la Quaresima ci richiama al deserto dello Spirito. Cosa vuol dire? Prima di tutto, il deserto dell’ascolto. La Quaresima è il tempo privilegiato in cui Dio si rivolge a noi mediante la sua Parola ed entra in dialogo con le sue creature. Dio parla a tutti. Se uno non lo sente, è perché ha l’orecchio tanto duro che non ode più la voce di Dio, la voce del Signore, la voce di Gesù. Non ascoltare la voce di Gesù, il suo Vangelo, vuol dire smarrire completamente la strada. Il Signore, come dice il profeta Osea, vuol tornare a parlare al nostro cuore, vuole entrare in comunione con noi, per esprimerci tutta la sua tenerezza.
È il deserto della Parola di Dio e della preghiera. Il rapporto con Dio, ci dicono i profeti, è un rapporto sponsale, di totale comunione. Gesù ci ha detto: «Se uno mi ama, osserverà la mia parola e il Padre mio lo amerà e noi verremo a lui e prenderemo dimora presso di lui» (Gv 14,23). La preghiera del discepolo consiste in questo dialogo, in questo incontro. La Quaresima è il tempo proprio. Dobbiamo riuscire a creare nella nostra vita questo spazio essenziale. Gesù parla della necessità di pregare sempre e non cessare mai. Ciò significa che c’è in tutti noi questa attitudine contemplativa. Anche durante le nostre occupazioni, è possibile un continuo colloquio d’amore col Signore. È in questo modo che potrà far fiorire anche il deserto che è dentro di noi.
Concludo questa piccola catechesi riepilogando i tre concetti che mi stanno a cuore. Quaresima: una fede tentata, una vita purificata, il deserto dello Spirito. Tutto questo, naturalmente, nella prospettiva pasquale. Altrimenti saremmo destinati a fare la fine dei due discepoli di Emmaus che, come narra l’evangelista Luca nel capitolo XXIV del suo Vangelo, se ne andavano da Gerusalemme a Emmaus, carichi di malinconia, di ricordi, di memorie grigie e oscure. Gesù con pazienza infinita li avvicina e riscalda il loro cuore… Solo nella celebrazione della Pasqua si aprono i loro occhi ed essi comprendono. Anche noi potremo capire tutto questo se saremo attenti ad intendere la Quaresima come un preludio della Pasqua.
La Pasqua di Risurrezione è la risoluzione definitiva, da parte del Padre e dello Spirito Santo, della nostra vita. Se entreremo in questa dimensione, che deve essere continua, saremo dei veri credenti, e testimonieremo il senso pasquale della vita, cioè quella vittoria sulla morte e sul peccato che già opera in noi. E così il deserto amaro e triste di questo mondo diventerà luminoso perché il Signore è risorto.
Con questa speranza nel cuore, intraprendiamo il cammino quaresimale. La grazia del Signore ci accompagni e ci benedica!
Perugia, 22 febbraio 2021
Gualtiero Card. Bassetti