Sarebbe stata sicuramente gremita di credenti e non credenti la cattedrale di San Lorenzo di Perugia se non fossimo al tempo del Covid-19, per le esequie di una delle “colonne portanti” della Chiesa perugino-pievese, monsignor Giovanni Battista Tiacci (1936-2021). Il Coronavirus lo ha strappato alla sua famiglia naturale e a quella del Presbiterio diocesano che lo ha avuto tra i suoi membri per oltre sessanta anni.
Il giorno della vigilia dell’Epifania del Signore, parenti, amici, parrocchiani e “semplici” conoscenti hanno dato l’estremo saluto al loro don Giovanni, in quella chiesa cattedrale che lo ha avuto per un quarto di secolo canonico camerlengo-amministratore, confessore ed esorcista. Alcune centinaia di persone si sono unite spiritualmente a quanti erano in San Lorenzo grazie alla diretta streaming realizzata dagli operatori di Umbria Radio InBlu sul canale youtube del settimanale La Voce, due media ecclesiali seguiti da don Giovanni.
Per più di trenta anni monsignor Tiacci è stato il direttore dell’Ufficio diocesano per i beni culturali ecclesiali, ma era soprattutto un curato di campagna, parroco di San Fortunato della Collina e Boneggio per quaranta anni. Un curato di campagna “prestato” alla città per i suoi diversi e delicati incarichi pastorali ricoperti a livello diocesano. Simbolicamente in San Lorenzo c’era tutta la sua Perugia, che ha tanto amato e servita, rappresentata dal sindaco Andrea Romizi con la fascia tricolore.
Le parole dell’arciprete e presidente del Capitolo della Cattedrale mons. Fausto Sciurpa, del cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti, dei nipoti e del parroco suo successore don Giovanni Amico, hanno tracciato con non poca commozione la figura di don Giovanni. Lo stesso, poco tempo prima di ammalarsi aveva confidato al suo successore, quasi ad anticipargli i contenuti del suo testamento spirituale, che «a chi ho incontrato nella vita l’augurio di ritrovarci tutti nella gloria del Regno di Dio». E su un volantino natalizio don Giovanni aveva scritto questa frase: «Tra tante cattive e preoccupanti notizie provocate dal Virus… la Buona novella: è nato il Salvatore!». Al momento del passaggio delle “consegne” della Parrocchia di San Fortunato della Collina, disse al successore: «“Non credo di lasciarti il deserto, ma una Comunità viva!”. Ed è vero – ha commentato l’attuale parroco –, perché ho ereditato una comunità ricca di entusiasmo e di iniziative. Grazie per quanto ci lasci in eredità, don Giovanni! Cercheremo di metterlo in pratica! E tu continua a vegliare sulla tua famiglia, provata dalla sofferenza di questi giorni; veglia sulle Comunità di San Fortunato e dei padri Guanelliani a cui eri legato, sull’Unità pastorale e sulla Chiesa diocesana che hai servito e amato per tutta la vita».
Proprio al servizio fondato sull’amore e sulla carità che ha contraddistinto non poco l’opera pastorale di don Giovanni, si è soffermato, nell’omelia, il cardinale Bassetti. «Riferimento sicuro per tante anime, per tante persone, per tante istituzioni – ha detto il presule –, don Giovanni lascia un vuoto improvviso, grande, che ci fa stringere gli uni agli altri in uno smarrimento condiviso, in questo nostro tempo così segnato dal male che purtroppo, fra le tante vittime, oggi annovera anche il suo nome. Eppure non riusciamo a pensare a lui senza sorridere ancora per quelle sue battute con le quali sdrammatizzava chiunque si prendesse troppo sul serio. Era un altro modo di annunciare il Vangelo: con la semplicità di chi sa farsi prossimo di tutti, condividendone sinceramente e profondamente sia la festa, sia il dolore».
«Molto gli deve la Chiesa perusina, molto la città e moltissimo la Cattedrale, della quale ha seguito con indefesso e disinteressato amore i lavori, i restauri, gli scavi che hanno portato alla luce nuovi imponenti percorsi della Perugia preromana. Quando, trent’anni fa, la Conferenza Episcopale Italiana ha varato l’Ufficio beni culturali e ha dispiegato la rete degli analoghi uffici nelle diocesi, don Giovanni è stato il primo ad assumere la responsabilità dei beni culturali nella nostra, incaricato dal mio predecessore Ennio Antonelli, che ben conosceva l’acribia, la tenacia, la passione e la competenza di don Giovanni. Prendeva il via proprio con lui, negli anni novanta, prima con l’arcivescovo Antonelli e poi con il suo successore Giuseppe Chiaretti, una campagna di catalogazione dei beni culturali, sotto l’egida della CEI, per la loro salvaguardia, a beneficio di tutti – non solo degli studiosi – ma anche dei fedeli, per arginare il depauperamento di un patrimonio di testimonianze e devozione accumulato nei secoli e, purtroppo, esposto e fragile, come hanno dimostrato anche le catastrofi sismiche».
«Don Giovanni non lasciava nulla d’intentato, quando intravedeva un nobile fine al servizio della Chiesa, anche a rischio di non essere compreso – ha proseguito il cardinale –. Il Museo capitolare-diocesano, nel quale oggi si ammirano tanti capolavori, è rinato all’attuale splendore per merito suo. Il suo servizio in cattedrale non obliterava certo l’altra sua “anima”: quella di parroco di San Fortunato della Collina, dove era amatissimo. Sia lui, sia la sua famiglia, purtroppo duramente colpita da questo virus. Anche se negli ultimi tempi si era ritirato (come si era ritirato dal servizio attivo nella cattedrale e nell’ufficio beni culturali), il suo ruolo nelle “retrovie” non era meno effettivo, e molti continuavano a cercarlo per consigli e direzioni spirituali. In effetti non esistono “retrovie” per gli uomini di Dio – ha commentato Bassetti avviandosi alla conclusione –. Coloro che Egli chiama a una speciale consacrazione sono segnati per sempre, ed è questa la loro “specialità”, che non si può mai nascondere come ha fatto il nostro don Giovanni. Per lui la parrocchia era la famiglia di amici tra i quali ha speso la propria esistenza senza risparmio, fino in fondo. Amici per i quali, tuttavia, egli continua a incarnare un Vangelo di gioia, di solarità, di vita».
Tanti di questi amici, negli ultimi giorni, ha raccontato il parroco di San Fortunato della Collina, «erano in lacrime per don Giovanni come se lo fossero per un proprio congiunto».