La nostra Terra Santa

Il racconto di alcuni giorni vissuti da un gruppo di sacerdoti e diaconi con il Vescovo Ivan sui Luoghi Santi, dove la presenza cristiana è più forte del silenzio e del dolore.

Cosa rimane di alcuni giorni (18-22 febbraio) vissuti in Terra Santa da un gruppo di sacerdoti, un paio di diaconi e il loro Vescovo? Nel cuore di ciascuno si affacciano immagini e pensieri; provo a dar voce a qualcuno di loro.

È stata, innanzitutto, un’esperienza di fraternità. Il ritrovarsi a condividere pagine di Vangelo là dove sono nate ci ha riportati alle sorgenti della nostra vocazione, a sentirne tutta la forza, a cogliere la verità e la bellezza di essere partecipi di un unico corpo. Sui passi degli apostoli e dei primi discepoli, ci accompagna la preghiera per Papa Francesco, perché in un momento tanto delicato possa sentire la vicinanza affettuosa e solidale della Chiesa.

Nazaret, Betlemme, Cafarnao, Gerusalemme… Sostiamo nei luoghi santi, avvolti dal silenzio: se da una parte questa condizione ha favorito il raccoglimento e la memoria dei nostri confratelli e delle nostre comunità, dall’altra ci ha fatto toccare con mano il dramma dell’assenza di pellegrini. Per le vie i colori delle stoffe e i profumi delle spezie sono una mensa imbandita invano. Nessuna barca è ormeggiata lungo il lago di Tiberiade, sulla riva non ci sono reti né grida di pescatori.

Condividiamo i pasti con p. Francesco Patton, l’amico Custode che ci ha invitati, aprendoci le porte di casa. Ne raccogliamo la testimonianza, da cui emerge in maniera chiara la ricchezza della presenza cristiana. Ridotta a piccolo gregge – un esiguo 2% della popolazione – e composta per buona parte da lavoratori stranieri, trova nei Francescani un riferimento di inestimabile valore. Non solo i frati non hanno abbandonato questi territori: nel loro far memoria delle tracce di Dio, sostengono opere sociali a servizio di tutti, forti di relazioni consolidate da una convivenza secolare. Ci chiedono che in ogni nostra parrocchia la Colletta del Venerdì Santo sia il segno che non abbiamo voltato le spalle né alle nostre origini né a chi tra mille difficoltà continua a custodirle.

L’ultima sosta è a Emmaus, nome che riporta a una locanda e a una cena interrotta a metà. Il mandorlo in fiore è un anticipo di primavera: la stessa stagione che quel misterioso Pellegrino ha fatto germogliare nel cuore di due viandanti, delusi nelle loro aspettative dalla realtà della croce. Non stentiamo a far nostra la loro preghiera – “Resta con noi, perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto” – e a sentire come da quello spezzare insieme la Parola e il Pane tutto ancora rinasca.

(La Voce, giovedì 27 febbraio 2025)