
Fu per l’opera instancabile del sacerdote pievese don Luigi Periccioli, originario di Viterbo, che all’ombra dell’oratorio e delle strutture annesse all’antica chiesa di San Francesco a Città della Pieve, trovarono rifugio, aiuto ed istruzione, tanti ragazzi colpiti dalla ferocia della guerra e da una povertà diffusa in quegli anni soprattutto nelle zone rurali.
Siamo nel 1943. Era vescovo della piccola diocesi di Città della Pieve (appena 33 parrocchie) Mons. Giuseppe Angelucci. Si era già deciso di intitolare la vecchia chiesa conventuale di San Francesco, riscattata dal demanio, alla Madonna, con particolare riferimento alle apparizioni di Fatima.
Scrive il Periccioli in un breve memoriale: “Quando avremo notizia delle apparizioni di Fatima subito, per grazia di Dio, sentimmo che trattavasi veramente di un messaggio di salvezza che riguardava l’intera umanità. Ogni nostra attività (azione cattolica, scuola catechetica, oratorio, orfanotrofio) era stata, fin dall’inizio consacrata alla Madonna; ci parve doveroso, quindi, accogliere pronti il nuovo invito e cercare un centro di diffusione del nuovo messaggio di misericordia. Col 25º delle apparizioni, ricorreva quello di episcopato di sua santità Pio XII, il 50º di sacerdozio del nostro eccellentissimo vescovo monsignor Giuseppe Angelucci, il 75º di fondazione della gioventù italiana di azione cattolica. La concomitanza delle date nella luce di Fatima, ci confermò nel proposito…”.
Si decise di ordinare una statua in legno dagli artigiani del nord Italia da mettere in venerazione dapprima nell’oratorio e poi da trasferire in chiesa, una volta ultimati i lavori necessari ed organizzate solenni manifestazioni per il mese di settembre del 1943. Avvenne però che l’inasprirsi degli eventi bellici fece perdere ogni traccia della cassa da spedizione entro cui era sistemata la statua e dopo il bombardamento della stazione di Bolzano non se ne ebbe più notizia. La questione rattristò molto sia Don Luigi che la popolazione pievese, anche perché le risorse economiche impiegate per acquistare la scultura erano ormai perdute e difficilmente si sarebbero potuti reperire altri soldi in tempi brevi per un nuovo acquisto e lo svolgimento dei festeggiamenti programmati.
Annota lo stesso don Luigi: “Tentammo ogni mezzo per avere la statua ma invano… decidemmo di rimandare tutto a dopo la guerra, disposti ad ordinare un’altra statua, ci si recò a Firenze e si fece premura presso una persona che poteva avere qualche possibilità.“ Ci aiuti ci aiuti a farci avere la statua. La Madonna, vedrà, non sarà ingrata!“ Fu risposto tra le lacrime: “ho proprio bisogno di una grazia tanto grande.… Metterò tutto il mio impegno”. “Bravo! Ci faccia arrivare la statua e la grazia all’avrà!”
Nessuno sperava più nella possibilità di ritrovare la statua, perduta chissà dove nelle linee ferroviarie italiane, per di più rese inagibili dai bombardamenti. Perfino i più giovani schernivano il povero prete: “ …caro Don Luigi se la Madonna non la portano gli angeli come a Loreto lei non l’avrà!”. Ormai rassegnati, si decise di effettuare ugualmente i festeggiamenti previsti per il mese di settembre, di sostituire la statua con un quadro raffigurante l’immacolata e di metterlo in venerazione il 13 ottobre seguente. Finchè il primo sabato del mese di ottobre, verso le 10 del mattino, una benefattrice corse ad avvertire emozionata: “E’ arrivata la Madonna!” Nessuno pensava ormai più alla statua, “…ma per il corridoio due uomini recano una lunga cassa accorrono quanti sono in casa, la cassa è aperta ci prostriamo e piangiamo!” Era il 2 ottobre 1943, festa degli Angeli Custodi.
Nel 1946, ultimato il restauro della Chiesa, fu ufficialmente inaugurato il Santuario Italiano della Madonna di Fatima e nel mese di ottobre la statua della Vergine partì per Roma e fu benedetta dal Santo Padre Pio XII.
Da quel momento l’immagine della Madonna di Fatima ha accompagnato ed animato la fede non solo degli abitanti di Città della Pieve particolarmente affezionati al loro Santuario, ma dei tanti pellegrini che cercano in Maria quel conforto tipico dell’abbraccio di una madre.