Il Becco del Grifone – n. 35

Papa Leone e le sue chiese

Dettaglio del Postergale della cappella di San Bernardino in Cattedrale.

L’instancabile lavoro architettonico del Vescovo Pecci nella diocesi di Perugia. Le chiese “Leonine”

All’indomani della morte di Papa Francesco, seppur con la tristezza nel cuore, abbiamo voluto ricordare come la notizia della morte di un altro Papa, e di tutt’altra epoca, impressionò fortemente i perugini, poiché si trattava del vescovo che per oltre tre decenni, prima di essere eletto successore di San Pietro, aveva retto la diocesi di Perugia: Gioacchino Pecci che salì al soglio pontificio col nome di Leone XIII. Mai avremmo immaginato che il novo Papa avrebbe scelto come nome proprio quello di Leone, ispirandosi alla figura del pontefice dotto e audace che, tra tante difficoltà, traghettò la chiesa nel XX secolo.

Ebbene, non possiamo che parlare ancora di Lui, augurando al Santo Padre Leone XIV di avere la stessa forza d’animo, alimentata dalla fede, che permise al suo illustre predecessore di affrontare coraggiosamente quelle sfide e quei pericoli che minacciavano la chiesa e la società del suo tempo.

Ma veniamo all’argomento di oggi. Quando Gioacchino Pecci fu eletto papa di Roma con il nome di Leone XIII, si tenne in Seminario a Perugia, una solenne commemorazione dell’operato del vescovo divenuto pontefice, e toccò al professore di retorica mons. Geremia Brunelli svolgere la prolusione nell’Accademia poetica promossa nel settembre 1878. Fu retorico come richiedevano i tempi e le circostanze, ma anche preciso nel ricordare fatti e benemerenze di Pecci negli anni dell’episcopato perugino, in cui “si edificano e si restaurano per cura di Lui e coi soccorsi di Lui ben cinquantaquattro chiese”.  Purtroppo, non abbiamo un elenco preciso di queste chiese, né è facile allo stato attuale desumerlo dagli archivi soprattutto parrocchiali.  Tuttavia, un fatto del genere ha una grande importanza per il territorio perugino e diocesano del secondo Ottocento, sia per la qualità architettonica e artistica degli edifici sacri nel contesto d’una edilizia povera quale era quella rurale del contado perugino, sia per la quantità delle risorse economiche e lavorative messe in moto con tanti cantieri, sia per la singolarità della committenza in tempi politicamente tutt’altro che facili. Lo studio di questo rilevante fenomeno urbanistico, che si colloca tra gli ultimi anni del potere pontificio e i primi decenni del nuovo stato unitario, è di innegabile importanza. Il vescovo Pecci conosceva molto bene il territorio diocesano per avere svolto ben sei visite pastorali, una ogni cinque anni secondo le prescrizioni tridentine, conoscendo oltre agli aspetti pastorali anche lo stato di fatiscenza degli edifici sacri e la necessità di una ripresa edilizia di grande valore culturale. Si avvalse allo scopo di un gruppo di architetti perugini che si ispirarono a preferenza a modelli neoclassici (Giovanni Santini, di Perugia, 1802-1868; e Giovanni Caproni, di Fontignano, fratello d’un parroco: 1813-1870) o a modelli neogotici (Nazzareno Biscarini, di Perugia, 1835-1907, soprannominato l’“architetto delle chiese” per averne costruite o restaurate una trentina; e Guglielmo Rossi, assisano ma vissuto e morto a Perugia, 1835-1925). Un nome che compare all’inizio è quello del perugino Filippo Lardoni (1801-1868), ingegnere comunale, cui si deve la prima chiesa-santuario voluta dal vescovo Pecci, quella di Ponte della Pietra, nel 1851. Dopo le 54 chiese propriamente leonine, anche altre furono restaurate o costruite sullo slancio delle precedenti, forse anche nella speranza di avere qualche encomio particolare o qualche aiuto economico ora che il vescovo era diventato papa, proseguendo le costruzioni con lo stesso gruppo di architetti già sperimentato e con altri che si aggiunsero in una seconda fase.

Tra questi vi fu Guglielmo Calderini, che nel 1880 aveva predisposto un progetto per il completamento della decorazione della facciata del duomo di San Lorenzo, che però non venne accolto dall’autorità ecclesiastica; a lui pochi anni dopo, precisamente nel 1882 fu affidato l’incarico della ristrutturazione della chiesa di San Costanzo.

 

Veduta d’insieme della decorazione interna della chiesa di San Costanzo in Perugia

 

Una notizia curiosa è che una delle prime fra le 54 chiese restaurate o ricostruite ex novo durante l’episcopato Pecci fu quella di San Martino in Campo, come ampiamente documentato dal prof. Andrea Maiarelli nelle sue ricerche. A riparare molti danni procurati alla vecchia parrocchiale di San Martino dalle intemperie veniva solitamente chiamato il muratore Biscarini, il quale chiese al figlio Nazzareno, che studiava architettura, di progettare una nuova chiesa: fu la prima chiesa progettata da Nazzareno Biscarini, ancora studente ventiduenne. Nel 1857 il vescovo Pecci fu colpito dall’opera del giovane, ammirò la sapienza costruttiva, e affidò a lui, diventato architetto, la costruzione di molte chiese. (Cfr. Andrea Maiarelli, Vita religiosa e presenza ecclesiale nella pieve di San Martino in Campo, Artegraf – Città di Castello, 2002).

 

Facciata della chiesa parrocchiale di San Martino in campo

 

In tutto questo fervore creativo c’è una caratteristica di non secondaria importanza che arricchì le belle, ariose e armoniose chiese, neoclassiche o neogotiche che fossero, e cioè l’adozione e la profusione armonica dell’ornato in cotto. E qui compare una scuola perugina di maestri specializzati nella produzione del cotto, oggi dispersa, che concorre a dare splendore e originalità all’architettura sacra perugina del secondo Ottocento. E’ la scuola eclettica, tra neoclassicismo e art nouveau di fine Ottocento, degli scultori perugini Francesco Biscarini (1838-1903), fratello minore dell’architetto Nazzareno, in coppia con il socio Raffaele Angeletti (1842-1899).

Al gruppo si aggiungono altri artisti di buona fama, come il mosaicista e maestro vetraio Francesco Moretti, caro al vescovo Pecci (le sue opere approdarono anche nella parrocchiale di Carpineto Romano), o i decoratori perugini Mazzerioli (Gaspare, Coriolano, Osvaldo), Guglielmo Ascanio di Panicale, ed altri artigiani impegnati nei numerosi cantieri edilizi.

La presenza di questo numeroso gruppo di artisti ed artigiani, è testimonianza diretta del fervore costruttivo messo in moto dall’attività di edilizia ecclesiastica legata al nome del vescovo Pecci.

 

Scorcio dei prospetti neogotici ottocenteschi all’interno della cattedrale di Perugia.

 

C’è tuttavia da continuare ancora nella ricerca, soprattutto negli archivi parrocchiali, per arrivare a definire con certezza le 54 chiese attribuite al Pecci dal Brunelli e per riscontrare altre costruzioni avviate sull’onda di quelle propriamente leonine.

In ogni caso si è scoperto quanto sia stato importante quell’imput del vescovo Pecci, che consente a noi di intuire quale fervore creativo ed artistico ne sia nato per la nostra Perugia.