Ufficio Stampa Diocesano
Nel giorno della ricorrenza del dies natalis di Sant’Ercolano vescovo e martire, patrono della città e dell’Università di Perugia, ucciso il 7 novembre dell’anno 547 nel difendere la libertà perugina oppressa dai goti di Totila, la Chiesa diocesana ha promosso un interessante e partecipato convegno-concerto dal titolo ‘Vox clara ecce intonat – Musiche del Cinquecento per sant’Ercolano (un ritrovamento)’. Si è trattato della presentazione di un importante manoscritto musicale del Cinquecento, recentemente ritrovato negli antichi e prestigiosi fondi della Biblioteca Apostolica Vaticana, per l’esattezza di un inno in onore di sant’Ercolano composto dal fiammingo Ivo di Tours, maestro di cappella del duomo di Perugia.
Al termine dell’incontro culturale si è tenuta, in cattedrale, la solenne celebrazione eucaristica presieduta dall’arcivescovo mons. Giuseppe Chiaretti. Il presule ha esordito nell’omelia sottolineando l”invito’ che trasmette l’inno cinquecentesco; «invito ‘ ha detto ‘ che ci sollecita ad onorare colui che pagò con la vita la fedeltà alla fede cattolica, invisa ai conquistatori ariani, e la fedeltà alla libertà e integrità della patria, richiesta dall’incarico politico di defensor civitatis. È intorno alla sua figura che è sorta la città con le sue istituzioni popolari. Nella cappella civica della cattedrale a lui intitolata quale emulo di san Lorenzo, furono trasferite le sue spoglie mortali dal vescovo Frigerio nel 1254, e in suo onore fu promossa anche la processione ‘luminaria’ negli statuti del 1279, l’anno successivo alla creazione della bella fontana di piazza grande. Nel 1308 fu istituito infine lo Studium Generale, e la processione notturna, già entrata nell’uso, divenne specifica degli alunni e dei professori. Sono notizie risapute, ma vale la pena ricordarle per dire di chi e di che cosa facciamo memoria».
«Ma c’è anche un altro motivo contingente ‘ ha proseguito l’arcivescovo ‘ che ci spinge a far memoria del martire Ercolano. I suoi tempi furono segnati da miseria e da violenza, che possiamo pur dire ‘globalizzate’ nel senso che furono diffuse in una vasta regione. I grandi vescovi di allora delle città umbre, da Perugia – appunto – a Tifernum, a Narnia, contrastarono con le loro deboli forze le tante violenze, ma soprattutto seppero trovare nella fede i motivi della resistenza, credendo e pregando. Svilupparono con la carità il senso dell’appartenenza e della solidarietà. La situazione odierna offre altre prospettive e più vie di uscita, ma le motivazioni sono all’incirca le stesse. Cosa possiamo dire di nuovo, ad esempio, all’odierno diffuso disagio morale, che è sfociato nel delitto orrendo, che conosciamo e che a un anno di distanza ricordiamo con amarezza e sofferenza? Un sacerdote può forse dire una parola diversa da quella del mercoledì delle ceneri: ‘convertitevi da una vita malsana e credete al vangelo?’. Tante sofferenze infatti sono il risultato di nostre libere scelte».
«Cosa dire anche del disagio sociale che attraversa oggi il mondo della scuola e dell’istruzione, ma anche il mondo del lavoro e dell’occupazione, se non che occorre aprirsi al dialogo e all’ascolto reciproco per riuscire a contemperare ragioni diverse, egualmente ragionevoli? Non crediamo si possa parlare di ‘riforme’ per provvedimenti minimali più o meno condivisibili, né si possono mettere sullo stesso piano spese aleatorie ed enfatiche e spese necessarie per sopravvivere. Ci sono revisioni da fare sia nell’organizzazione dei processi culturali perché siano realistici ed efficaci, sia nell’organizzazione dei processi produttivi, che sono peraltro condizionati da tanti fattori. Ma non sono competente per parlare di queste cose; semmai valga l’attenzione per invitare le parti a dialogo e a mediazioni oneste e possibili. Dicono infatti gli esperti che la crisi attuale durerà a lungo e non basteranno i palliativi messi in atto. Tutti condannano finalmente la ricerca d’un profitto ad oltranza, che scatena alla lunga un intollerabile conflitto di interessi. Ma è da dubitare che questi buoni turbamenti durino a lungo e promuovano riforme radicali nell’ambito della finanza».
«Occorrono nuove regole ‘ ha auspicato mons. Chiaretti ‘, a partire della concezione stessa dalla finanza, del suo servizio, del suo scopo. Ci soccorra il giudizio stringato e tagliente dell’apostolo Paolo: ‘Cupiditas radix omnium malorum est’. La bramosia dell’accumulo del denaro è la radice di tutti i mali’ (1Tm 6,10). È in questo contesto che possiamo oggi rileggere anche certe intuizioni che furono dei nostri antenati, o addirittura dei santi come i grandi umbri Benedetto e Francesco. Il peccato non fu per loro l’avere, ma l’accumulo iniquo dell’avere, di quella ricchezza che con voce aramaica Gesù chiamava ‘mammona’ (Mt 6,24; Lc 16,13), che è la ricchezza iniqua e cioè non equa, ingiusta, frutto di latrocinio o di diritti-doveri non rispettati. Tale accumulo, ottenuto in tanti modi spesso illeciti, diventa idolo che, al momento del crollo, trascina nella polvere anche il legittimo e doveroso risparmio o il credito necessario alle attività lavorative. Vedendo certi conteggi che mi portano semplici operai, non me la sento di assolvere la finanza e le banche».
«Penso di poter dire che il nostro è in ogni caso un momento catartico, di purificazione, che ci invita a ripensare il senso non solo della ricchezza ma della finanza, e d’una economia e d’una produzione non più funzionale a bisogni veri. Non così pensavano tanti pensatori cristiani di ispirazione francescana, i quali, facendo circolare la ricchezza, procuravano pane e sollievo a molti miserabili. Dobbiamo provare forse a coniugare in forme moderne certe loro intuizioni di fondo. Dicendo questo, penso anche al coraggio che occorre per andare controcorrente, ma è qui che ci viene in aiuto l’esempio dei nostri santi. Non avevano ricette su misura per i singoli problemi, ma avevano l’intuizione e la forza di contraddire il male. L’insegnamento di Gesù, infatti, è l’amore coniugato in varie forme sia sul versante di Dio, dove è amore totale, pieno, senza riserve e senza eccezioni, sia sul versante del prossimo, con il quale ci si deve sempre confrontare perché, il prossimo, particolarmente il povero, è il segno della presenza vera e non fittizia di Dio».
«Se anche il nemico, che è il Maligno, il Mentitore, il padrone dell’effimero, ci circuisce imbrogliandoci, ‘il buon pastore dà la vita per le pecore’, com’è detto nel Vangelo di Giovanni ‘ ha ricordato mons. Chiaretti a conclusione dell’omelia ‘. Così fecero Lorenzo ed Ercolano, il diacono di Roma e il monaco vescovo tutore della città e dell’Università di Perugia. Ci sono momenti nella vita e nella storia in cui occorre avere il coraggio della verità anche ad altissimi costi: è quel coraggio che fa scattare la reazione di persone sfiduciate per la lunga attesa, e fa nascere in loro la speranza che un mondo diverso è possibile. È quello che ci attendiamo anche da questa celebrazione annuale, che è voce di speranza e di incoraggiamento a cambiare, a non arrendersi dinanzi a nessuna ingiustizia».