«Questa sera la nostra chiesa è diventata una basilica in cui ha trovato posto il mondo. Abbiamo sentito le voci del Sud Sudan, di Israele, del Perù e del Kosovo e nell’ascoltarle mi sono chiesto cos’è che fa di questa geografia il nostro mondo? Io credo che sia la scelta di restare con uno sguardo ben preciso anche quando avresti mille motivi per andartene. Lo stare potrebbe essere il contrario della missione, perché la missione viene associata all’andare, ma, come è appena stato ricordato, quanto è importante anche il fermarsi». Così l’arcivescovo Ivan Maffeis nel commentare la Parola di Dio pronunciata alla Veglia di preghiera tenutasi, la sera del 20 ottobre, nell’antico convento francescano in Monteripido di Perugia, in preparazione alla Giornata missionaria mondiale che la Chiesa celebra domenica prossima.
Le testimonianze di andare e restare
La veglia ha visto la partecipazione di diversi fedeli, animata da giovani, preceduta dalla cena di solidarietà per le opere missionarie nel refettorio dei Frati minori. È stata promossa dal Centro diocesano missionario diretto da mons. Orlando Sbicca, per anni in missione in Africa e profondo conoscitore della Terra Santa dove si sarebbe recato in pellegrinaggio a novembre. Molto significative sono state le testimonianze che hanno fatto comprendere l’importanza dell’essere missionario nell’annunciare e concretizzare il Vangelo non limitandosi ad andare ma a restare. Questo particolare lo si è colto sin dalla prima testimonianza, letta da Anna Maria Federico, animatrice missionaria e coordinatrice della Commissione regionale Ceu per l’evangelizzazione dei popoli e la cooperazione tra le Chiese, quella del vescovo di Rumbek (Sud Sudan), mons. Christian Carlassare, che ha subito un attentato restando gambizzato mentre stava per ricevere l’ordinazione episcopale, “testimonianza-icona” della stessa Giornata missionaria mondiale. È seguita quella di una donna ebrea israeliana impegnata nel processo di pace, letta da mons. Orlando Sbicca, scritta prima della guerra in corso, ma sempre molto attuale, che crede che ci siano le condizioni nella sua terra, che definisce «il paradiso», di poter convivere pacificamente israeliani e palestinesi a partire dai piccoli gesti e isolando gli estremismi di entrambe le parti. Non sono mancate neppure le testimonianze dirette di due giovani famiglie che si apprestano a tornare in terra di missione, una dell’Operazione Mato Grosso nei villaggi delle Ande peruviane, l’altra responsabile della Casa Caritas in Kosovo.
Cristo compagno di viaggio
Testimonianze che hanno stimolato la riflessione che mons. Maffeis ha offerto ai presenti: «Lo stare in missione diventa segno di fedeltà ed è solo quando noi stiamo nelle situazioni che le stesse diventano opportunità, luoghi di incontro, diventano strade. Il Papa nel suo messaggio per questa giornata ci ha consegnato: “cuore, occhi e piedi”. Sono le condizioni per essere discepoli missionari e riguardano ciascuno di noi». Ed ammirando il grande espressivo crocifisso del presbiterio della chiesa del convento di Monteripido, l’arcivescovo ha commentato: «Quanto è bello, io credo che non finirò mai di meditarlo, questo Cristo che si fa compagno di viaggio, che si fa vicino senza imporsi e con molta umiltà chiede e accetta lo sfogo, il lamento, il risentimento dei cuori chiusi. È lo stile del missionario, del discepolo che si fa vicino, che ascolta, che apre le Scritture e dà una chiave di lettura che spalanca e cambia i cuori».
Al centro della missione l’Eucaristia
«La nostra Veglia è iniziata attorno alla mensa – ha ricordato l’arcivescovo –, un segno di condivisione come il condividere il pane eucaristico, l’esistenza, il servizio, la gratuità, la prossimità alla gente. Penso al volto di Chiesa che richiama a questa condivisione e mi ha colpito da subito la nostra Caritas diocesana che inizia la sua attività quotidiana di ascolto, accoglienza e aiuto dignitoso attorno all’Eucaristia e alla preghiera. Questo è aprire gli occhi e avere il cuore caldo, così si arriva al coraggio dei passi a cui si riferisce il Papa».
Il grazie per quanti vanno e restano in missione
Avviandosi alla conclusione, mons. Maffeis ha detto: «Questa sera diciamo grazie a ciascuno di noi per la testimonianza che si offre con il nostro essere qui in preghiera e diciamo grazie a chi ha accettato di partire per restare accanto a fratelli e sorelle più poveri, per restarci come segno e come strumento della Misericordia di Dio. E le testimonianze appena sentite richiamano ciascuno di noi all’essenziale che è fatto, appunto, di poche cose. Un cuore che arde, uno sguardo aperto, il coraggio dei passi».
Tra i “segni” della Veglia quello dell’accensione di cinque ceri di differenti colori posti davanti all’altare a simboleggiare la luce dello Spirito che illumina i cinque continenti, e il mandato missionario consegnato dall’arcivescovo a quanti partono per la missione, tra i quali don Giovanni Marconi, dalla scorsa settimana sacerdote fidei donum in Perù.
Riccardo Liguori
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