«La messa crismale è quasi epifania della Chiesa Corpo di Cristo, festa per tutto il popolo di Dio e particolarmente per i presbiteri rivestiti del sacramento dell’Ordine, che celebrano la nascita del sacerdozio ministeriale e la loro vocazione ad esso». Lo ha ricordato il cardinale Gualtiero Bassetti nell’omelia della Messa crismale celebrata nella cattedrale di San Lorenzo di Perugia, nel pomeriggio del Mercoledì Santo, 17 aprile. Alla messa hanno partecipato numerosi sacerdoti, religiosi, religiose, diaconi, seminaristi, famiglie e catechisti con i ragazzi che si apprestano a ricevere quest’anno il sacramento della Cresima. Concelebranti l’arcivescovo eletto di Lucca, mons. Paolo Giulietti, che concluderà il suo incarico di vescovo delegato ad omnia di Perugia-Città della Pieve il prossimo 5 maggio, l’arcivescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti e l’abate benedettino emerito dom Giustino Farnedi. La Messa crismale è stata aperta dalla suggestiva processione dei sacerdoti concelebranti, dal chiostro di San Lorenzo alla cattedrale, attraversando piazza IV Novembre con la splendida Fontana Maggiore.
Il cardinale, nell’omelia, ha parlato di «un profumo intenso, profondo, delicato e diffuso in questa nostra cattedrale di San Lorenzo, novello cenacolo», che «si espande su tutti noi e ci attrae; è il profumo di Cristo, il profumo che emana dalla sua umanità, personalmente coniugata alla sua natura divina. Emana dalla sua vita di uomo; dalla sua unione col Padre, dal suo rapporto mistico con lo Spirito, dalla compagnia dolcissima che egli vive con sua madre. Il profumo di Cristo ci giunge anzitutto nella fragranza della mensa eucaristica in cui noi assaporiamo il pane divenuto cibo di vita eterna ed il vino trasformato in bevanda di salvezza». Ed ha aggiunto: «Quella del sacerdote è un’esistenza donata. «Prendete e mangiate… prendete e bevete» (Mt 26, 26-28). Il prete è chiamato ad attuare nella propria carne quel “prendete e mangiate” con cui Cristo, nell’ultima cena, affidò se stesso all’umanità. Quella del presbitero è inoltre un’esistenza salvata per salvare. “Questo è il mio corpo dato per voi!” (Lc 22,19). Ripetendo le parole di Cristo, noi sacerdoti diventiamo annunciatori privilegiati di questo mistero di salvezza. Ma come potremmo esserlo efficacemente senza sentirci noi stessi salvati? Noi, per primi, siamo raggiunti nell’intimo dalla grazia. E questo ci impegna, cari fratelli, nel cammino della santità e della missione (cf. Lettera di san Giovanni Paolo II ai sacerdoti per il Giovedì Santo 2005, n. 4), spronando ciascuno di noi a “farsi tutto a tutti per salvare ad ogni costo qualcuno” (1Cor 9,22)».
Il cardinale, rivolgendosi ai sacerdoti, si è chiesto: «che senso avrebbe aver scelto il presbiterato e permanere in esso, se la centralità di Cristo sfumasse nella nostra vita? Il 24 marzo è stato l’anniversario del martirio del santo vescovo salvadoregno mons. Oscar Romero (1980). Mons. Romero, come ricorderete, fu assassinato durante la celebrazione eucaristica. Ricordo bene le ultime parole, da lui pronunciate, alle 18.25, nella cappella dell’ospedale della Divina Provvidenza, subito prima dell’offertorio: “In questo calice il vino diventa il sangue, che è stato il prezzo della nostra salvezza. Possa questo sacrificio darci il coraggio di offrire il nostro sangue per la giustizia e la pace del nostro popolo. Questo momento di preghiera ci trovi uniti nella fede e nella speranza”. In quello stesso istante, un colpo d’arma da fuoco lo introdusse nella casa del Signore. Un’esistenza autentica quella di don Romero, tutta protesa a Cristo per salvare i fratelli. Carissimi sacerdoti, il nostro ministero nei confronti del popolo di Dio è un servizio, un ministero, una testimonianza (martyrion). Mi sento di dover dar voce ad uno scritto, delicatissimo e severo, del Servo di Dio Don Tonino Bello, che ho personalmente conosciuto quando, come me, era rettore del Seminario. Tra breve andrò a commemorarlo nella sua Alessano, nella Diocesi di Ugento, dove è nato e sepolto. Diceva questo eccezionale pastore: “La stola ed il grembiule [tutti noi domani celebreremo la lavanda dei piedi: io due volte in carcere, più in cattedrale] sono quasi il diritto ed il rovescio di un unico simbolo sacerdotale. Anzi, meglio ancora, sono come l’altezza e la larghezza di un unico panno di servizio, il servizio reso a Dio e quello offerto ai fratelli. La stola senza il grembiule resterebbe semplicemente calligrafica (rituale). Il grembiule senza la stola sarebbe fatalmente sterile”».
Il cardinale Bassetti, avviandosi alla conclusione, ha voluto affidare ai suoi sacerdoti «tre piccole consegne: riscoprite la bellezza della famiglia presbiterale, ognuno di voi possa avvertire il calore di appartenere a questa famiglia; fate del presbiterio una comunità di volti, di fratelli, che si vogliono bene sul serio: nei fatti e nella verità, e sentendovi sempre responsabili gli uni degli altri».