Parla di «un’Italia da rammendare» il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti, presidente della Cei, nel suo ultimo articolo pubblicato nella rubrica “Dialoghi” de Il Settimanale de «L’Osservatore Romano», in edicola il 7 dicembre, prendendo lo spunto dalla recente prima Giornata Mondiale dei Poveri voluta da papa Francesco, che «lascia una certezza e domande importanti – scrive il presule –. Innanzitutto, ricorda con forza che i poveri, tutti i poveri, anche quelli di cui non conosciamo l’esistenza o la provenienza, appartengono alla Chiesa “per diritto evangelico” come disse Paolo vi nel discorso di apertura del secondo periodo del Concilio Vaticano ii. In virtù di questo “diritto evangelico” – e non certo in nome di una rivendicazione sociale – ogni cristiano è chiamato ad andare verso i poveri. Una chiamata che è, dunque, la concretizzazione di quella vocazione all’amore, totale e gratuita, insita nel cristianesimo. Perché, come scrive il Papa, noi «non amiamo a parole, ma con i fatti”. Accanto a questa certezza evangelica, si pongono, però, alcuni interrogativi cruciali. Chi sono i poveri nel mondo contemporaneo? Quali sono le emergenze della povertà in Italia? E infine: cosa fare concretamente per il nostro paese?».
I poveri sono prima di tutto i piccoli…
«Rispondere alla prima domanda – prosegue il cardinale Bassetti – non è così semplice come potrebbe sembrare. Gli indigenti, infatti, oggi assumono tantissimi volti. I poveri sono prima di tutto i piccoli: ovvero i concepiti e i bambini che non hanno assolutamente nulla se non la scintilla della vita. Sono poi i nuovi schiavi che vengono comprati, venduti e sfruttati come fossero cose e non persone: le vittime della tratta, i migranti, le prostitute. Sono inoltre gli emarginati e gli scarti della società come i clochard, i disoccupati cronici, ma anche i disabili, gli anziani. Sono infine i precari del nostro mondo occidentale, opulento, vecchio e stanco, che non riesce a dare opportunità ai giovani, alle donne e alle famiglie. Accanto a queste povertà materiali ci sono anche nuove forme di povertà: le cosiddette povertà relazionali tipiche di tutte quegli uomini e quelle donne che vivono una vita agiata ma hanno un deserto interiore».
Almeno tre le povertà emergenti.
«Tutte queste forme di povertà – osserva il presidente della Cei – sono ben presenti nel vissuto quotidiano dell’Italia. Ma sono almeno tre le emergenze che fanno suonare un campanello di allarme. Innanzitutto, la disoccupazione giovanile, che non è solo il prodotto della crisi economica ma anche il frutto di scelte sbagliate fatte in passato. In secondo luogo, le famiglie, soprattutto quelle con figli, che si trovano troppo spesso ai margini dell’agenda politica e con uno stato sociale non più adatto ai problemi odierni. E infine, per ultimo, mi riferisco al Sud che si trova ormai in una condizione di crisi endemica e che sembra abbandonato a un destino di precarietà aggravato dalla presenza mortifera della malavita. Ecco dunque la terza domanda che suscita la giornata mondiale dei poveri: cosa fare? È la domanda più difficile e impegnativa, che però non può essere più elusa».
Iniziare a pensare a una vera inclusione sociale dei poveri.
Soffermandosi sull’ultimo rapporto del Censis, che «descrive un paese in cui “il futuro è incollato al presente” e dove i cittadini investono i propri risparmi sempre di più “nei generi di comfort”», il cardinale Bassetti sostiene che «è fondamentale tornare a ripensare il futuro, con carità e speranza, con coraggio e concretezza. E con un unico grande obiettivo: quello di ricucire, anzi, di rammendare l’Italia. Come un umile sarto cuce il vestito su misura per una persona – senza comprare un vestito preconfezionato oppure mettendo delle toppe – così tutte le donne e gli uomini di buona volontà hanno una grande missione da compiere per il bene dell’Italia: riprendere la trama dei fili che si dipana per tutto il paese e ricucirla come fosse nuova, valorizzandone i colori e la vivacità, le sfumature e le pieghe, la spiritualità e la cultura, la creatività e i talenti. Solo così si può iniziare a pensare a una vera inclusione sociale dei poveri che sia la premessa per uno sviluppo “integrale e solidale”».