La catechesi sul passo evangelico dei Discepoli di Emmaus a cura di don Alessio Fifi, docente di Sacra Scrittura all’ITA e all’ISSRA di Assisi, tenuta all’Assemblea diocesana del 15 ottobre 2023, presso il complesso parrocchiale “San Giovanni Paolo II” in Ponte della Pietra di Perugia
La gioia del camminare insieme
Dopo la prima tappa del processo sinodale, detta “narrativa”, cioè di ascolto, si apre quella “sapienziale”. È stato scelto il racconto evangelico dei discepoli di Emmaus quale icona di questa seconda tappa. Il motivo di questa scelta è che uno dei frutti della fase narrativa è stato anche una certa effervescenza, un desiderio di incontrarsi ancora, come i due discepoli che tornarono in fretta e pieni di entusiasmo, come gli undici che trovarono riuniti anch’essi pieni di entusiasmo per aver scoperto che Gesù è risorto. Questo racconto rappresenta appunto questa gioia del camminare insieme proveniente dalla presenza del Signore in mezzo a noi.
Il Risorto ridà vita alla Chiesa
La fase sapienziale è la fase di discernimento e della scoperta della volontà di Dio. Ora, non penso che i discepoli di Emmaus fecero alcun discernimento sulla volontà di Dio quella sera quando riconobbero Gesù. Semplicemente il riconoscimento del Risorto gli ridiede vita. Riconoscere il Risorto ridà vita alla Chiesa e la rende sempre di nuovo capace di leggere la volontà di Dio e di seguire i moti dello Spirito Santo. Nella Chiesa c’è un continuo morire e rinascere. Si parte – come anche in altri racconti di incontro col Risorto – da una Chiesa che è “morta”. Infatti nei due discepoli all’inizio non c’è traccia della luce, della gioia del Risorto; nei loro discorsi non c’è la vita della Resurrezione. Della Chiesa è rimasto il cadavere: due che stanno insieme. Anche nell’ultimo capitolo del Vangelo di Giovanni “Si trovavano insieme Simon Pietro, Tommaso…” ecc., sette in tutto. C’era il cadavere della Chiesa. “Disse loro Simon Pietro «io vado a pescare». Gli dissero: «veniamo anche noi con te»” (Gv 21,2-3). Iniziativa non ispirata e fallimentare, però stanno insieme. Al Signore basta questo perché Lui è vivo ed è capace di ridare la vita ai morti. Egli è sempre vivo e continuamente si avvicina alla Chiesa quando rimane unita. Egli si avvicina e si mette in ascolto.
È tuo fratello e lo lasci parlare
Ma non si accontenta di ascoltare silenzioso. Fa domande, “tira a parlare” i discepoli: “che cosa sono questi discorsi che state facendo tra voi lungo il cammino?” (Lc 24,17). Domanda di “questi discorsi che state facendo”. Usa il verbo ἀντιβάλλω che si potrebbe tradurre “questi discorsi che vi rimpallate a vicenda”. Fa pensare a quel parlarsi addosso per cui non ascoltiamo l’altro, ma appena inizia a parlare già pensiamo di aver capito cosa vuole dire, dissentiamo e per contraddire o per dire meglio gli parliamo sopra senza aspettare che finisca. È un classico “sintomo di morte”, intendo dire di morte spirituale perché la vita spirituale è la comunione fraterna, la comunione con Dio e fra di noi, è la gioia dell’ascoltare l’altro anche se sai già benissimo il suo pensiero. È tuo fratello e lo lasci parlare.
Come alla fine di certe riunioni in parrocchia
Questi si rimpallavano queste cose. Quando Gesù fa la domanda “si fermarono col volto triste”, alla lettera σκυθρωποί, “sconvolti”, come dopo una notte insonne o dopo una fatica che ci ha estenuato ma inutile. Come alla fine di certe riunioni in parrocchia che non sono servite se non a sfogare le proprie amarezze.
Invitati a “tirare fuori il rospo”
Però lui li invita a parlare. È un atto pedagogico, li invita a “tirare fuori il rospo”, a sfogarsi e dire a chiare lettere cos’è che non è andato, in cosa sono stati delusi. Aprire il cuore a Lui e dirglielo che non sei d’accordo, che secondo te non c’è storia… questo è importante perché finché non abbiamo condiviso con Lui le nostre frustrazioni queste rimangono solo come amarezze che ci rimpalliamo a vicenda ma che si moltiplicano solamente. Parlarsi non è la soluzione ad ogni problema, a volte parlarne non cambia nulla. Serve l’intervento del Signore. È Lui che quando ci parla ci raddrizza.
Il nemico nascosto dietro ai nostri pensieri
La sua Parola è una “spada che penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello spirito… e discerne i sentimenti e i pensieri del cuore” (Eb 4,12). Egli va al punto e “uccide” il nemico che si cela nel profondo dei nostri pensieri e sentimenti. La spada serve per tagliare e per arrivare fino a dove sta il nemico. Il nemico è nascosto di solito dietro ai nostri pensieri, dietro ai nostri sentimenti, modi di aver inteso delle cose, nel nostro sguardo sulla Chiesa, sul Papa, sui vescovi, sulla gente… Dovunque sia è certo che c’è altrimenti saremmo tutti radiosi della Resurrezione e figli di Dio visibilmente…
Pensare male di Dio
C’è un nemico, e la spada della parola di Cristo sa raggiungerlo perché penetra fino a raggiungerlo e le parole che dice uccidono i nemici (Ap 19,15.21). La spada della parola uccide il nemico che si nasconde dentro i nostri pensieri e sentimenti; lo sa scovare, riconoscere, “stanare” e lo uccide, cioè lo contraddice; lo fiacca: “Stolti e lenti di cuore a credere…”. Dev’esser fiaccato nei discepoli quello spirito cattivo che gli fa pensare male di Dio. Perché nella loro amarezza, dietro alla loro amarezza pensano male di Dio, pensano che Dio non possa risollevare da questa specifica condizione.
Il progetto di Dio, una speranza all’opera
Non viene detto esattamente il contenuto del discorso di Gesù, ma solo che “cominciando da Mosè e da tutti i profeti spiegò loro in tutte le Scritture tutto ciò che si riferiva a lui” (Lc 24,27). È un modo per dire che li illuminò, li apri a scoprire che le cose non erano come le avevano interpretate loro, c’è invece un progetto di Dio, una sapienza all’opera. Anzi, è tutto previsto e dunque c’è speranza.
Essere strumento di Gloria del Risorto
“Non ardeva forse in noi il nostro cuore mentre egli conversava con noi lungo la via… “ (Lc 24,32). Il loro cuore si riaccese, riprese a percepire che c’è vita, c’è futuro. Arde perché siamo fatti per la vita e per averla in abbondanza e si stanno aprendo alla realtà del Risorto. La scoperta di essere sotto e dentro un’enormità di Grazia che ci supera tutti e che è continuamente operante e che si degna di passare attraverso di me, usare me, mi fa strumento di questa immensità di Gloria che è il Risorto, eternamente vivo e glorioso nel Padre, e presente per la potenza dello Spirito Santo nei nostri cuori.
Scoprire e riconoscere che Lui è vivo
Questo porta al riconoscimento. Già Aristotele aveva scoperto che i racconti (una favola, un romanzo, un film…) si dividono in due categorie a seconda del tipo di “scena risolutiva” che li porta termine. Alcuni finiscono perché avviene qualcosa, un ribaltamento (Aristotele la chiama “peripezia”): sembrava tutto perduto e invece avviene qualcosa che porta alla vittoria; sembrava prevalere il male e invece alla fine prevale il bene.
Il racconto dei discepoli di Emmaus non è di questo tipo. Ciò che fa cambiare tutto non è un ribaltamento, ma un riconoscimento. Qualcuno scopre la verità che prima non vedeva. Noi che leggiamo il racconto sappiamo fin dall’inizio che è il Risorto a camminare con loro, ma loro non lo sanno. La svolta è l’aprirsi dei loro occhi e riconoscerlo.
La svolta non è la sua presenza materiale perché egli subito scompare, ma aver riconosciuto che Lui È VIVO. “Allora ci sei!”. Grazie alla Parola che ha riacceso il loro cuore alla speranza e al gesto dello spezzare il pane che gli ha aperto gli occhi entrano in un altro modo di vivere del tutto diverso. Ora “si aspettano cose”, si aspettano grandi cose. Quando erano partiti per Emmaus non si aspettavano più nulla, essi un tempo avevano sperato che fosse lui a liberare Israele (“noi speravamo…”), ma questa liberazione non c’era stata, anzi sembrava fosse svanita ogni speranza. Quando si aprirono gli occhi essi ripresero ad aspettarsi grandi cose. Per questo “partirono senza indugio”. Poco prima avevano invitato lo sconosciuto: “resta con noi perché si fa sera e il giorno è ormai al tramonto”, ora invece la notte non è una ragione sufficiente a ritardare il ritorno a Gerusalemme. Hanno proprio voglia di vivere questo che sta per accadere. E non sanno cosa sia!
Mossi dallo Spirito…, vivi della vita del Risorto
Ora, questi sono i presupposti del discernimento. O siamo vivi della speranza della vita eterna, della certezza del Risorto in mezzo a noi, della gioia dello stare insieme e dello spezzare il pane… e allora abbiamo il discernimento. Infatti non riconosceremo la volontà di Dio soprattutto per aver studiato meglio la situazione, aver acquistato chissà quale intelligenza…. No. È la gioia e la speranza e la certezza della vita nuova dentro lo stare insieme con Gesù Risorto in mezzo a noi, è questa la vita che è aperta alle ispirazioni, ai moti dello Spirito. A volte lo Spirito ti muove, anche se non capisci, altre volte ti illumina perché tu sappia cosa fare e ti dà la forza di farlo, ma non c’è differenza. La questione è essere vivi, vivi della vita del Risorto.
Entrare nella fase sapienziale… vedere le cose
Ecco, questa fase sapienziale non significa ovviamente che oramai siamo rinati e possiamo tranquillamente vedere la volontà del Signore. Siamo continuamente un po’ morti e continuamente il Signore nell’Eucaristia, parlandoci e spezzando il pane in mezzo a noi ci fa rinascere. Ecco però che vivi di questa vita possiamo entrare nella fase sapienziale, cioè leggere con lo sguardo illuminato dalla speranza, col cuore colmo di gioia che arde per la presenza del Signore… vedere le cose. Senza questo non si vede granché, si vedono cose ma sono fantasmi…
Il riconoscimento del Risorto è la condizione di possibilità del discernimento della volontà di Dio.
Se camminiamo insieme il Signore è accanto
Il gruppo sinodale è simile ai due discepoli di Emmaus. Camminano insieme. Non hanno risposte. Anzi i loro occhi sono “impediti a riconoscere” il Signore. Nessuno di noi qui è Gesù che ha il cuore pienamente luminoso e conosce ciò che vuole Dio.
Siamo tutti ciechi. Ma se camminiamo insieme, il Signore ci si fa accanto, e possiamo imparare a riversare su di Lui le nostre amarezze e delusioni.
Rimprovero che apre alla conversione
ἀντιβάλλετε πρὸς ἀλλήλους: rimbalzarsi le parole, senza ascoltarsi, ma solo reagendo con insofferenza al pensiero accecato dell’altro. Uscire da una riunione σκυθροπόι, devastati nel volto, come dopo una notte insonne o un periodo di grande stress…
Il nostro parlarci infecondo, anzi che fa del male, perché non accoglie, non ascolta.
“Tu solo…?”. Anche verso Gesù rimbalzano la loro amarezza.
Gesù risponde con dolcezza e apre ancora all’ascolto: “quali?”.
La sua parola è una parola di luce, come alle volte è la parola di Dio. Luce che infrange le tenebre della nostra stoltezza e lentezza a credere. È un rimprovero che apre alla conversione.