Domenica pomeriggio 20 ottobre il popolo di Dio di San Sisto, con il vescovo ausiliare mons. Marco Salvi, ha aperto l’anno giubilare del 50° anniversario dell’istituzione della Parrocchia sorta nell’ottobre 1969 per volere dell’allora arcivescovo Ferdinando Lambruschini. Durante l’anno pastorale 2019-2020 diversi saranno gli «eventi» e gli «interventi» celebrativi per ricordare mezzo secolo di storia religiosa e sociale di questa comunità parrocchiale di 20mila abitanti sviluppatasi attorno alla zona industriale più importante di Perugia e all’ospedale civile “Santa Maria della Misericordia”, come ha annunciato, alcuni giorni prima in conferenza stampa, il parroco moderatore dell’Unità pastorale di San Sisto-Sant’Andrea della Fratte-Lacugnano don Claudio Regni.
Questo 50° è stato aperto con una grande croce, simbolo per eccellenza della fede cristiana e dell’evangelizzazione di un popolo e di un territorio, portata in processione da un gruppo di giovani e collocata nell’area verde intorno al complesso parrocchiale. A tracciare una cronaca dell’evento di domenica scorsa è la giovane universitaria Sara Marinelli, collaboratrice parrocchiale e addetta alla comunicazione. «Piazza Martinelli, ore 17:30: la processione parte in ritardo, come usa da 50 anni (l’appuntamento era alle 17), del resto le tradizioni vanno rispettate e San Sisto è anche questo – scrive Sara –. Alla guida c’è il vescovo Marco, il parroco don Claudio accompagnato dai viceparroci don Marco, don Lorenzo, don Stefano e altri presbiteri le cui strade, per periodi di differente durata, si sono sovrapposte a quella della parrocchia. Dietro di loro sfilano la banda del paese e il “popolo”, come don Claudio definisce i paesani, con l’amore di un pastore che parla del gregge. Il posto d’onore è riservato a una croce di acciaio inox con anima dorata in ottone, trasportata da dodici ragazzi che si danno il cambio. È stata commissionata da don Claudio per essere piantata nel “Giardino della Misericordia”, un oliveto sovrastante la chiesa Santa Famiglia di Nazareth, dove arriva e termina il corteo. Mentre la croce viene calata nel terreno, don Claudio spiega che vorrebbe portarci anche delle statue raffiguranti le opere della misericordia corporali “e sarebbe forse bene di aggiungerne una: ‘accogliere gli immigrati’” conclude. Una volta sistemata, la croce pare aver fatto da sempre parte di quel luogo: non si impone, non si staglia contro il cielo, bensì ne riflette il colore; l’unica parte che risalta è quella in oro, ma lo fa in modo gentile, quasi volesse dire “mi puoi ignorare, ma non si può negare che esista e splenda”, un po’ come certe opere di Dio».
«La celebrazione prosegue con la messa – continua Sara –. La chiesa è piena, persone di ogni fascia d’età partecipano a quella che è una festa di tutti, ma perché festeggiare? La risposta la fornisce chiaramente il vescovo Marco durante l’omelia: “Tutto è iniziato per delle persone che erano innamorate di Dio e che avevano come unico progetto farLo conoscere nella vita degli uomini. Quell’inizio penso che dopo 50 anni vada riscoperto, perché dobbiamo continuare quel cammino, come quello che fisicamente abbiamo fatto, immagine del cammino della vita a cui tutti siamo chiamati, portando quella croce. Inoltre, celebrare questi 50 anni significa riconoscere che Dio si è fermato nella nostra vita e si è manifestato attraverso un segno sensibile che è la parrocchia. Dunque fare memoriale significa ricordare che siamo dentro la Sua attenzione! Allo stesso tempo dobbiamo riscoprire l’origine di quell’inizio: delle persone innamorate di Dio. Celebrare degnamente 50 anni di questa parrocchia significa rivivere quell’origine in maniera nuova: non dimenticando l’amore di Dio da cui proviene ogni cosa”».
«Forse chiamare “festa” una messa può risultare bizzarro – commenta Sara –, eppure è proprio l’idea che trasmettono i presbiteri al momento della consacrazione: in piedi, tutt’intorno all’altare, sono amici di vecchia e giovane data che si ritrovano attorno a una mensa con l’ospite più importante: Gesù, che ha permesso e benedetto ogni cosa in questo tempo. Al termine della celebrazione, un frate francescano che presta servizio pastorale dell’Ospedale “Santa Maria della Misericordia” illustra il nuovo crocifisso svelato appena prima della benedizione iniziale e ora pendente sopra al presbiterio: è una copia del crocifisso di San Damiano, quello situato nella basilica di Santa Chiara ad Assisi, che parlò a san Francesco dicendogli: “Ripara la mia casa”. I biografi ritengono che da quel giorno già si stamparono nel suo cuore le stimmate. È un crocifisso inusuale perché trionfante, non sofferente, vivo, come suggeriscono la postura eretta, i colori regali e fiammanti rosso e oro, la conchiglia segno di preziosità e quindi, per estensione, di vita divina e le braccia stese su un rettangolo nero metafora della morte. Cristo gli sta sopra perché l’ha vinta».