Veglia di preghiera interconfessionale per la pace

Padre Francesco Patton: «Disarmare il cuore, la mente… è un lavoro anche culturale e di educazione alla pace»

«Come diceva Papa Francesco, essere artigiani della pace è qualcosa di molto importante, perché l’artigiano non produce in serie ma produce qualcosa che è un pezzo unico. Essere artigiani della pace vuol dire che nelle singole circostanze in cui noi ci troviamo ad operare bisogna trovare il percorso, la via alla pace che va bene per quella situazione». Così ha esordito, nel commentare la Parola di Dio, padre Francesco Patton, già Custode di Terra Santa, nell’intervenire a Perugia, la sera della vigilia della Marcia della Pace PerugiAssisi di domenica 12 ottobre, alla Veglia di preghiera interconfessionale in cattedrale apertasi con una fiaccolata silenziosa in memoria delle tante vittime di conflitti nel mondo a cui hanno partecipato centinaia di persone, tanti i giovani. Preghiera promossa dalla nostra Diocesi con la Fondazione PerugiAssisi per la cultura della pace, in collaborazione con alcune delle Chiese ortodosse e protestanti che hanno aderito alla stessa Marcia per la Pace, animata dal Coro della pastorale universitaria.

«In ogni situazione bisogna trovare un modo di dialogare che possa funzionare, che faccia riferimento alle categorie delle persone che abbiamo davanti». Ha proseguito padre Patton, prendendo come riferimento della sua meditazione il crocifisso posto davanti all’altare della cattedrale, portando come esempio la “categoria” che si pone come artigianato della pace, «la prima categoria – ha precisato – che ci ha offerto Papa Leone XIV subito dopo la sua elezione. Ci ha detto che c’è bisogno di una “pace disarmata e disarmante”. Una pace in cui noi siamo disarmati e perché lo siamo riusciamo anche a proporre ad altri il disarmo. Il crocifisso ispira con le parti del suo corpo, ad iniziare dal cuore e dalla mente, un certo tipo di disarmo…». Quelle stesse parti dell’uomo che sono cause di conflitti e violenze.

Padre Francesco Patton ha collegato ad ogni parte del corpo degli esempi concreti di “disarmo”, di pace che si sono generati tra le popolazioni cristiana, mussulmana e ebrea prima e dopo il 7 ottobre 2023 in Medio Oriente, dalla Siria a Israele, dove opera la Custodia di Terra Santa. Tra questi esempi ci sono: le scuole frequentate da studenti e professori di religioni e culture diverse; gli aiuti non solo materiali a popolazioni in conflitto tra loro; il farsi prossimi a famiglie segnate da lutti provocati dall’odio; il prendersi cura di 150 bambini mutilati a causa della guerra portandoli in Italia; il a non fare mancare la propria vicinanza alla parrocchia cattolica di Gaza. «Solo riuscendo a disarmare i nostri cuori, a non odiare, possiamo proporre ad altri percorsi di riconciliazione». Soprattutto, «bisogna disarmare la mente, i pensieri e questo è un lavoro anche culturale, di educazione alla pace e al disarmo».

Nel citare le altre parti del corpo, mani, piedi, occhi, orecchie, lingua il francescano ha avuto parole esortanti e di speranza: «E’ molto importante riuscire ad ascoltare gli altri fino in fondo, riuscire ad ascoltare e riconoscere il dolore, la sofferenza dell’altro, come ha detto una madre israeliana il cui figlio era stato preso in ostaggio il 7 ottobre 2023. Bisogna imparare a disarmare le labbra e la lingua. Quello che mi ha colpito di più in questi ultimi due anni di guerra nella Striscia di Gaza, e tutti noi speriamo che siano terminati, è stato il sentire tante parole di odio e di vendetta».

Inoltre, «occorre disarmare gli occhi, il nostro modo di guardare alla realtà, alla situazione e al mondo. Cambiare lo sguardo vuol dire guardare in maniera diversa quelle persone che prima erano considerate nemiche».

«Disarmare i nostri piedi vuol dire fare percorsi e scelte che siano di pace. Il Cristo in croce ha le mani totalmente disarmate come i suoi piedi sono anche inchiodati. Disarmare le mani vuol dire anche fare azioni concrete in favore della pace. Non basta avere parole di pace, bisogna anche riuscire ad avere azioni di pace. Chi è a determinati livelli globali, mondiali dovrà agire al suo livello ma ciascuno di noi è chiamato ad agire al proprio livello e a porsi la domanda molto concreta: “Cosa posso fare io per disarmare le mie mani, per aiutare altri a disarmare le proprie?”».

Padre Patton ha portato con sé dalla Terra Santa una piantina d’ulivo che ha donato all’arcivescovo Ivan Maffeis, ricordando che «l’ulivo è molto comune in Umbria, come nelle regioni di tutto il Mediterraneo, in Terra Santa e i più famosi stanno al Getsemani di Gerusalemme, l’orto degli ulivi. L’ulivo è il simbolo della pace e lo è per una ragione un po’ particolare, perché chi la pianta non pensa al domani ma al dopodomani. Chi pianta e coltiva l’ulivo sa che i frutti del suo lavoro saranno raccolti da generazioni che verranno dopo. Dobbiamo cominciare ad essere persone che non si limitano a pensare a noi stessi e al presente, ma dobbiamo pensare al futuro per raccogliere qualche frutto di pace grazie a qualcosa di piccolo che noi abbiamo avuto la grazia di piantare». Padre Francesco Patton ha concluso con quest’invito: «Piantate tanti ulivi cercando di pensare al futuro di pace».

Significative sono state anche le parole del sindaco di Betlemme, Maher Nicola Canawati, che ha partecipato alla Veglia di preghiera per la pace: «Buonasera a voi, sono toccato, commosso dall’essere qui a pregare per la pace insieme a voi. Siamo stati a pregare negli ultimi anni a Betlemme, in ogni città palestinese per la pace, ma oggi prego insieme a voi e questo fa la differenza. Dal mese scorso ho girato a lungo l’Italia e ho avuto modo di apprezzare la passione, l’amore che gli italiani hanno riservato alla pace in Terra Santa. E questo mi fa sentire a casa e mi dà la forza di tornare a casa e portare questo vostro supporto al popolo palestinese. Ringrazio, innanzitutto, il sindaco di Assisi per avermi chiesto di essere qui con voi e i francescani della Custodia di Terra Santa per il supporto che danno alla vita quotidiana dei palestinesi. È la sola istituzione che veramente dà un contributo alla nostra sopravvivenza dando supporto e amore al popolo di Palestina. Vi invito a pregare affinché Dio dia saggezza ai leader del mondo, perché possano raggiungere una vera e giusta pace. Preghiamo, perché l’accordo che è stato raggiunto due giorni fa possa essere l’inizio di un percorso verso una pace giusta per i palestinesi. La vostra presenza in Palestina è molto importante, aiuta e salva la Palestina. I palestinesi sono le pietre vive della Terra Santa e vi aspettano. Venite in Terra Santa, è la cosa che vi chiediamo a voi che siete qui impegnati per la pace e la giustizia per l’umanità. Grazie ancora, che Dio vi benedica».

La Veglia è terminata con la recita del Padre Nostro guidata dai rappresentanti delle confessioni cristiane. L’arcivescovo Ivan Maffeis, nel salutare i numerosi partecipanti, ha sottolineato l’importanza della preghiera “parte essenziale di questo cammino di pace, poiché, mentre impedisce di arrendersi alla disumanità, si fa invocazione al Signore e appello alla comunità internazionale”.

Riccardo Liguori

 

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