Entrate nel vivo le celebrazioni in onore del Santo patrono Costanzo, vescovo e martire. L’arcivescovo Ivan Maffeis all’omelia dei Primi Vespri della vigilia al termine della “luminaria”: «C’è un filo rosso che racconta di esistenze donate, di perdono offerto, di amore portato con pazienza …, dà fondamento alla vita, la apre alla fraternità, alla carità, all’attenzione al debole e al povero».

Si è tenuta nel centro storico di Perugia, nel pomeriggio del 28 gennaio, con un’ampia partecipazione di popolo di Dio, dopo la pandemia, la rievocazione della trecentesca processione della “luminaria” della vigilia della festa del Santo patrono della città e dell’Archidiocesi, Costanzo, vescovo e martire del II secolo. Una rievocazione della storia del Santo fondatore della prima comunità cristiana perugina, menzionata negli Statuti comunali del XIV secolo, che si è svolta, come vuole la tradizione, alla presenza dei rappresentanti delle istituzioni civili e religiose. Per l’arcivescovo Ivan Maffeis è stata la prima volta avendo iniziato il suo ministero episcopale lo scorso 11 settembre. La “luminaria”, dal palazzo comunale dei Priori alla basilica minore di San Costanzo, guadata dall’arcivescovo Maffeis e dal sindaco Andrea Romizi, ha percorso la “via sacra” al canto delle litanie dei santi, accompagnata dal corteo storico dei figuranti delle cinque porte medioevali della città. Nella basilica di San Costanzo si è tenuta la recita dei Primi Vespri con l’omaggio simbolico al Santo dei “doni votivi”: il cero, la corona di alloro, il torcolo (dolce tipico della festa in memoria del martirio del Santo), il vin santo e l’incenso.

L’omelia dell’arcivescovo. «Probabilmente, davanti all’elenco stilato dall’apostolo Paolo, che mette in fila “tribolazione, angoscia, persecuzioni, pericoli…” – ha detto l’arcivescovo nell’omelia –, non avremmo nessuna difficoltà ad aggiungere anche altre situazioni che pesano sul cuore ci ciascuno; situazioni che preoccupano, spaventano, umiliano e dissolvono questa sintesi meravigliosa che è la vita. A farci difetto, semmai, è la fiducia; quella che è venuta a mancare in tanti è la certezza che la nostra esistenza sia davvero accompagnata e custodita dalla Provvidenza; le parole così alte e ferme di San Paolo – per cui “nulla potrà mai separarci dall’amore di Dio” – rischiano di suonare retoriche, una sorta di modo di dire, buono forse per le nostre liturgie, ma lontano dalla vita».

Dall’Ucraina all’Iran. «Abbiamo tutti sotto gli occhi una storia intrisa di violenza e di sangue – dall’Ucraina all’Iran, per citare gli esempi più macroscopici -, una storia – ha sottolineato – che sembra smentire la presenza di un disegno, di una ragione, di un Dio amico. Questa nostra stessa storia, però, è attraversata anche da un altro filo. C’è un filo rosso che racconta di esistenze donate, di perdono offerto, di amore portato con pazienza e generosità fino alla fine; racconta di un’esperienza che ha a che fare con la realtà, dà fondamento alla vita, la apre alla fraternità, alla carità, all’attenzione al debole e al povero».

Condizione e possibilità di futuro. «L’inchiostro di questa storia scorre nelle vene dei Santi, di San Costanzo e dei tanti santi che sono tra noi, che custodiscono le nostre famiglie, le nostre comunità e le nostre città. La loro vita è interpretazione concreta del Vangelo. La loro fede, la loro cultura e le loro scelte hanno costruito questa nostra Città. Farne memoria è fonte di riconoscenza; assumerne l’eredità è condizione e possibilità di futuro».

La protezione dei santi sulla città degli uomini. Monsignor Maffeis, prima di impartire la benedizione finale, ha ringraziato l’Amministrazione comunale e le diverse realtà civili e religiose che si sono prodigate per i festeggiamenti in onore del Santo patrono. Un particolare ringraziamento il presule lo ha riservato alla Corale della Polizia Municipale, che ha animato la celebrazione intonando, come è tradizione, l’antico inno a San Costanzo, il “canto delle scolte”, il “coprifuoco”, che invoca la protezione dei santi sulla città degli uomini.