È dono e responsabilità celebrare la festa di tutti i Santi in questo luogo, che san Francesco considerava “il santo dei santi”: come leggiamo nello “Specchio di perfezione”, egli “era convinto che la grazia divina può essere largita agli eletti di Dio dovunque; aveva tuttavia sperimentato che il luogo di Santa Maria della Porziuncola era colmo di una grazia più copiosa”. Per questo raccomandava spesso ai frati di “non abbandonare mai questo luogo”: “Fu qui che, quando noi eravamo in pochi, l’Altissimo ci ha moltiplicati; qui ha illuminato l’anima dei suoi poveri con la luce della sua sapienza; qui ha acceso le nostre volontà con il fuoco del suo amore” (FF 1780).
Nel corso della storia questo stesso fuoco ha acceso e riscaldato l’esistenza di tanti santi, alcuni conosciuti e stimati, molti altri – la maggioranza – anonimi, dimenticati, ignorati dal mondo. Questo fuoco dell’amore di Dio è all’origine di una santità diffusa, popolare, che unisce in una sola fiamma tutti gli umili della terra, i cui nomi sono scritti nel Libro della vita. Questo fuoco è l’anima di quella comunione, misteriosa e reale allo stesso tempo, tra noi e quanti ci hanno preceduto e che già contemplano il volto di Dio.
Penso a tante persone che ci hanno amato, educato, formato, persone che ciascuno porta nella memoria del cuore e che rimangono – certo, in forma diversa – accanto a noi, pregano per noi, intercedono per noi; sono i santi di casa nostra, sono quei giusti che ci custodiscono, ci proteggono e salvano, giusti ieri cercati invano da Abramo a Sodoma, grazie ai quali il Signore avrebbe evitato alla città la distruzione.
Il fuoco dell’amore di Dio rimane la sorgente di quella santità, che è poi il fine della vita cristiana e che si realizza in forme diverse, a seconda della vocazione, dei carismi, dei contesti. Santità significa riconoscere di appartenere, in ultima analisi, solo a Dio, per cui il nostro cammino spirituale coincide con l’essere e divenire sempre più suoi figli.
La pagina del Vangelo ce ne ha offerto i criteri. Da una parte, le Beatitudini interpretano la vita di Gesù (è lui il povero, il misericordioso, colui che ha fame e sete della giustizia, a causa della quale è perseguitato); dall’altra, rispetto a un mondo impostato su ben altre logiche, le Beatitudini ci consegnano il volto di Dio e ci dicono da che parte sta: sta, appunto, dalla parte del povero, del sofferente, del mite. E se è così, nessuno ha più ragione di sentirsi abbandonato o semplicemente in preda all’umiliazione e all’ingiustizia; tutti possiamo tornare a sperare.
Santità è conformarsi a Cristo e come Lui riporre in Dio la nostra fiducia, attenti a condividere le sofferenze di quanti incontriamo, accostandoli con animo fraterno e disponibile. Questa è la via per portare da subito un riflesso di eternità nel tempo.
Proprio la santità oggi è forse la testimonianza che ci è più necessaria, perché assicura che la vita buona proposta dal Vangelo è vera e praticabile.
Mentre ringraziamo il Signore per la vita evangelica di tanti uomini e donne, preghiamo per quanti nel nostro tempo vivono il martirio sulla frontiera delle tragedie umane in tanti luoghi in cui la libertà religiosa è negata e con essa la dignità umana. Il loro esempio scuota il torpore in cui troppe volte lasciamo intiepidire la nostra fede e la nostra esistenza.
L’intercessione di tutti i Santi e della Vergine Madre realizzi anche in noi almeno un riflesso di quanto Tommaso da Celano scrive di san Francesco: “Nella stima di sé non era altro che un peccatore, mentre in realtà era onore e splendore di ogni santità” (FF 724).