Al termine del Concistoro ordinario pubblico nella Basilica di San Pietro dello scorso 22 febbraio, il neo cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve Gualtiero Bassetti ha incontrato diversi fedeli perugini ed umbri dando loro appuntamento nel pomeriggio, prima nella chiesa romana di San Gregorio VII e poi nell’Aula Paolo VI in Vaticano per le “visite di cortesia”. In San Pietro è stato salutato anche dai rappresentanti delle Istituzioni civili umbre invitate al Concistoro, tra i quali la presidente della Regione Catiuscia Marini, il sindaco di Perugia Wladimiro Boccali e quello di Città della Pieve Riccardo Manganello e l’assessore provinciale di Perugia Donatella Porzi, che rincontreranno il cardinale Bassetti questo pomeriggio (domenica 23 febbraio) nella cattedrale di San Lorenzo, dove parteciperanno alla solenne concelebrazione eucaristica presieduta dal porporato. Nella chiesa di San Gregorio VII, tra le diverse centinaia di fedeli umbri e toscani, c’erano il rettore dell’Università per gli Stranieri Giovanni Paciullo e il prorettore dell’Università degli Studi di Perugia Fabrizio Figorilli.
In San Gregorio VII il neo cardinale è stato accolto da un caloroso prolungato applauso, al quale ha fatto seguito il discorso di saluto, tutt’altro che formale, del vicario generale dell’Archidiocesi perugino-pievese mons. Paolo Giulietti, percependo negli occhi del porporato non poca commozione.
«Eminenza, sono lieto di poterle rivolgere questo primo saluto a nome di tutti i presenti e a nome di tutti i presenti della Chiesa di Perugia-Città della Pieve. Abbiamo desiderato questo momento “familiare – fuori programma – proprio per poter esprimere più vivamente il “calore” con cui si felicitano i nuovi porporati – ha esordito mons. Giulietti –. Al di là di quanto è stato detto e scritto, non sono noti i motivi per i quali il Papa l’ha chiamata a far parte del collegio cardinalizio; sappiamo però che sono legati non ad un particolare incarico di curia o a una “sede cardinalizia”: è quindi lecito pensare che il Papa abbia voluto sottolineare con la sua scelta quelle qualità personali – umane e cristiane – che noi abbiamo imparato a conoscere e ad apprezzare da quando è arrivato a Perugia. Questo ci fa molto piacere, non solo perché indica una direzione nuova nella vita della Chiesa, ma anche perché viene “premiato” un brav’uomo, che non ha brigato per fare carriera, ma si è dedicato a servire con impegno la Chiesa in cui il Signore lo ha collocato come pastore. Lei, eminenza, si è definito un “leprotto di campagna abituato a correre”; tante volte l’abbiamo vista correre qua e là per la diocesi, desideroso di stare in mezzo al suo gregge per portare speranza e gioia soprattutto ai piccoli e ai poveri. Sappiamo che ancora di più sarà chiamato a spendersi e noi le assicuriamo la vicinanza della nostra collaborazione e della nostra preghiera».
«Voglio sottolineare un ulteriore motivo di gioia e di soddisfazione per il suo cardinalato – ha proseguito il vicario generale –: noi Perugini abbiamo avuto nei secoli un rapporto ambivalente con il papato. Abbiamo ospitato cinque conclavi, ma abbiamo combattuto contro Paolo III la “Guerra del sale” e la città è stata schiacciata dalla Rocca Paolina; abbiamo accolto solennemente molti papi, ma abbiamo fatto i moti risorgimentali e massonici del 1859; abbiamo dato alla Chiesa uomini illustri – tra tutti Papa Leone XIII -, ma siamo stati messi in castigo per decenni a causa del Modernismo… Siamo una città dalle profonde e innegabili radici cristiane, che hanno ispirato generazioni di artisti e hanno generato l’università, l’ospedale, le banche…, ma siamo anche una città laica e anticlericale… Oggi la sua porpora ha un sapore di riconciliazione (vescovo “rosso”), perché Perugia torna ad essere tra le “figlie predilette” della Chiesa di Roma. Questo riconoscimento fa bene al nostro spirito ecclesiale, ma fa bene anche all’immagine della città e della diocesi, purtroppo macchiate nel recente passato da fatti di cronaca impietosamente sbandierati dai media e che abbiamo pagato in vario modo. Nella sua porpora – con una certa presunzione – ci sentiamo un po’ amati e premiati anche noi, la nostra bella città e la nostra cara Chiesa. Per questo e per altro ancora oggi qui a Roma e domani a Perugia le faremo volentieri festa, con autentico “calore” fatto di gratitudine, di simpatia umana e cristiana, di affetto filiale. Le auguro di godere appieno della gioia di questi giorni e di sentirsene confortato e incoraggiato per il percorso che la attende. Le auguro infine di non dismettere mai, anche sotto la porpora, l’abito da terziario francescano, continuando a camminare innanzi a noi in nello stile evangelico di semplicità e di umiltà».
Il primo discorso pubblico da cardinale l’arcivescovo Bassetti l’ha tenuto ai fedeli convenuti nella chiesa di San Gregorio VII, dedicandolo alle tre diocesi che l’hanno avuto pastore in questi suoi primi venti anni di presule, Massa Marittina-Piombino, Arezzo-Cortona-Sansepolcro e Perugia-Città della Pieve ed anche alla sua amata Chiesa di Firenze che lo ha generato nel sacerdozio, ma soprattutto alla regione dell’Umbria.
«Quando dovevo decidere della mia vocazione – ha evidenziato il cardinale –, sentivo sempre dentro di me il desiderio di una famiglia grande e il Signore mi diceva: “ti darò tanti figli”; Papa Francesco direbbe: “tante pecora da pascere perché tu abbia il profumo delle pecore”. Sentivo questo dentro di me ed oggi posso dire che il Signore ha appagato questa mia vocazione di essere padre, fratello, amico, sostegno di tanta gente che si appoggia al suo vescovo diventato punto di riferimento». Poi l’arcivescovo di Perugia si è soffermato sul “titolo” che gli ha dato Papa Francesco nel crearlo cardinale, quello della chiesa di Santa Cecilia in Trastevere, che è stato, come lo stesso porporato ha commentato, «un regalo più grande di questo il Santo Padre non poteva farmelo. Vi entrai in questa chiesa per la prima volta nel 1961, da giovane seminarista, e rimasi impressionato dalla bellezza della statua di Santa Cecilia. Pensate – ha aggiunto –, questa chiesa ha avuto per titolare fino alla sua morte il cardinale Carlo Maria Martini (appena pronunciato il nome c’è stato un lungo applauso, n.d.r.). Il “titolo” di Santa Cecilia l’ho preso come una carezza della Provvidenza».
«Vi ringrazio per avermi accompagnato in questo periodo con la preghiera – ha proseguito il cardinale –, perché soltanto la preghiera ci rende contemporanei a Dio che ci può chiamare quando vuole. E’ il presente che conta nella nostra vita di cristiani e non sciupiamolo. Non c’è più niente di più bello di metterci a pregare e a contemplare Dio. Vi ringrazio anche per essere venuti così numerosi oggi a Roma, ma questa mattina c’è stata una nota un po’ negativa quando ho saputo che tanti di voi sono rimasti fuori dalla Basilica (erano giunti dall’Umbria di buon mattino millecinquecento pellegrini per partecipare al Concistoro, ma ad alcune centinaia di loro non è stato consentito l’ingresso in San Pietro gremita di fedeli per motivi di sicurezza, n.d.r.)».
Avviandosi alla conclusione il cardinale Bassetti ha detto: «questo grande impegno che mi ha affidato il Papa, che significa anche una collaborazione più diretta con lui, con la Chiesa universale, non vuole togliere nulla al mio rapporto con Perugia e Città della Pieve. Papa Francesco mi ha ripetuto in questi giorni trascorsi a Santa Marta che questa nomina è alla persona, ma è anche alla Diocesi perusino-pievese e alla regione dell’Umbria. Mi ha fatto piacere vedere oggi che c’è anche gente di Terni e non soltanto di Perugia. Questo testimonia che la nostra piccola regione può essere più coesa e diventare veramente quella unica famiglia che deve essere, perché noi abbiamo due denominatori comuni, che sono san Benedetto e san Francesco ed è nel nome dei grandi valori che queste due colonne della Chiesa e dell’umanità ci hanno insegnato che dobbiamo impostare anche a livello della regione Umbria la nostra vita. Questi due grandi santi, uno patrono d’Europa, uno patrono d’Italia, hanno predicato non solo il Vangelo, ma hanno insegnato la civiltà a tutta l’Europa allora conosciuta. Siamo noi per primi a prendere questa lezione da Benedetto e Francesco e abbiamo avuto una scuola unica e formidabile da queste colonne della Chiesa e noi dobbiamo farne tesoro».