Sorelle e fratelli segnati dalla disabilità del corpo e dello spirito sono stati i “protagonisti” della XXXII Giornata Mondiale del Malato celebrata a livello diocesano a Perugia, nella chiesa parrocchiale di Santa Lucia, il pomeriggio dell’11 febbraio, giorno in cui la Chiesa fa memoria della prima apparizione della Vergine Immacolata a santa Bernadette, nella grotta di Lourdes. Accompagnati da familiari, volontari e operatori sanitari, sono stati accolti dall’arcivescovo Ivan Maffeis prima dell’inizio della celebrazione eucaristica, intrattenendosi con loro per circa mezz’ora e avendo per tutti parole di conforto e di incoraggiamento e a quanti si prendono cura di loro ha espresso viva gratitudine. Ha poi riservato «un grande abbraccio a tutti coloro che non possono essere tra noi. Quanti vivono nella sofferenza – ha detto l’arcivescovo – possano sentire la vicinanza premurosa non solo del Signore, ma dei fratelli. Preghiamo perché il Signore ci dia un cuore e uno sguardo attento soprattutto per chi è provato».
Costretti all’isolamento. In un clima di mitezza e serenità, che poco si addice alla giornata in cui il pensiero e la preoccupazione di tanti fedeli va a familiari e amici malati, è stata celebrata l’Eucaristia animata dall’equipe diocesana di Pastorale della Salute e dal Coro parrocchiale. E l’omelia di mons. Maffeis ha ancor più trasmesso questa serenità. «La Parola di Dio che abbiamo appena ascoltato – ha commentato – arriva al cuore dandoci speranza pur parlandoci di lebbra, una malattia pesante perché non solo consuma la carne, ma mette il lebbroso nella condizione di essere allontanato dagli altri perché è contagioso. E noi abbiamo fatto esperienza durante la pandemia di cosa significhi essere costretti all’isolamento quando l’uomo vive di relazione. Mettendoci nei panni del lebbroso avvertiamo il dramma di essere allontanati, isolati, cancellati dalla famiglia, dalla comunità. Ieri e purtroppo anche oggi, la malattia, ancora, è considerata quasi un segno, se non la punizione, di Dio che si è distratto». Eppure Gesù, ha sottolineato mons. Maffeis, «compie un gesto eversivo, rivoluzionario nell’andare incontro al lebbroso e rompendo ogni tabù nel toccarlo».
Provare compassione. L’arcivescovo ha poi esortato i fedeli «a testimoniare questa vicinanza del Signore alla persona sofferente, all’escluso», perché «in Lui le categorie umane saltano davvero, non c’è più straniero, non c’è più umiliato, non c’è più esiliato per le sue condizioni di salute, per la sua provenienza, per la sua storia. Come Gesù abbiamo anche noi compassione del malato, del sofferente, dell’escluso…, perché, come il Papa ci ricorda nel suo messaggio per questa XXXII Giornata del Malato, la prima cura passa attraverso la qualità delle nostre relazioni. Diciamo grazie per le tante persone che si inchinano davanti alla sofferenza: gli infermieri, i medici, i volontari, gli operatori, le religiose e i religiosi delle nostre case di riposo e cura. Lo sentiamo rivolto a noi quest’appello di Gesù a provare compassione, a farci prossimi mentre chiediamo con forza il diritto alla salute, all’accesso alle cure, alla possibilità di relazione così importante tra medico, aziende e familiari, perché la malattia colpisce la famiglia, non solo il singolo».
Riccardo Liguori