«“Il Mediterraneo è diventato il cimitero più grande d’Europa”: le parole pronunciate dal Papa all’Angelus (di domenica scorsa, ndr), con le quali ha ricordato una delle più silenziose e drammatiche realtà del nostro tempo, ci interrogano profondamente. Nel mondo d’oggi, infatti, quasi più nulla sembra scalfire l’animo umano. Persino la morte di uomini, donne e bambini al largo delle nostre coste non sembrano turbare più di tanto la quotidianità del vivere». Lo evidenzia il cardinale arcivescovo di Perugia-Città della Pieve e presidente della Cei Gualtiero Bassetti nell’editoriale del quotidiano Avvenire del 15 giugno, dal titolo “Una storia da cambiare”. Un contributo a questo cambiamento auspicato dal presidente della Cei viene dai vescovi dei Paesi del Mediterraneo incontratisi una prima volta a Bari, nel febbraio 2020. Si rincontreranno, all’inizio del 2022, a Firenze, nel solco del pensiero profetico del sindaco “santo” Giorgio La Pira, quello «di trasformare il Mare Nostrum in un “grande lago di Tiberiade”, ovvero in un luogo di pace e speranza – sottolinea Bassetti –. Il Mediterraneo in cui si affacciano le civiltà che appartengono alla “triplice famiglia di Abramo”, come scriveva La Pira, può realmente diventare un luogo di incontro tra culture, religioni e popoli diversi. Un incontro che, dopo secoli di divisione, potrebbe cambiare la storia non solo del Mediterraneo, ma del mondo intero».
Le parole del Papa sul Mare Nostrum, ricorda il cardinale, «portano alla luce alcune grandi questioni. In particolar modo, la centralità del Mediterraneo nel mondo contemporaneo. Forse mai come oggi, infatti, il Mediterraneo non è più soltanto un bacino marittimo che bagna tre continenti spesso in conflitto tra loro, ma un angolo visuale fondamentale da cui guardare il mondo intero… La centralità del Mediterraneo è segnata da una pervasiva globalizzazione economica che si tramuta però in una dolorosa indifferenza quando il focus si sposta sui poveri e sui migranti. Questo strabismo concettuale non solo non è evangelicamente accettabile, ma è estremamente carico di incognite e di rischi per il futuro. Chiudere gli occhi davanti ai “popoli della fame” significa, prima di tutto, chiudere gli occhi a Cristo e a quell’umanità sofferente di cui da sempre si prende cura lo sguardo del Samaritano. In secondo luogo, voltare lo sguardo oggi alle migrazioni internazionali significa non affrontare concretamente una delle più grandi questioni sociali di domani: come si governa la mobilità umana? Come combattere lo sfruttamento della tratta? Come integrare queste persone nelle società d’accoglienza? Sono queste alcune delle domande che le migrazioni nel Mediterraneo impongono all’ agenda pubblica dell’ Europa, dell’ Africa e dell’ Asia. Non solo ai governi, ma anche alla Chiesa».