«Spirito missionario» e «comunione ecclesiale» sono i due aspetti sui quali il cardinale arcivescovo Gualtiero Bassetti ha incentrato il suo intervento d’apertura della prima giornata dell’Assemblea diocesana dal titolo: “Per una gioia perfetta. Camminare insieme e testimoniare il Vangelo, in svolgimento a Perugia dal 17 al 18 novembre. «Due aspetti – ha detto il presule – che vogliono essere di stimolo per la vita della nostra Diocesi: innanzitutto, la necessità, anzi l’urgenza, di recuperare e valorizzare in modo autentico lo spirito missionario; in secondo luogo, il bisogno, altrettanto urgente, di riscoprire la comunione ecclesiale tra le molte membra della Diocesi che costituiscono un unico e stupendo corpo».
Quest’Assemblea è vissuta come momento di sintesi e di discernimento della recente Visita pastorale (2013-2017) del cardinale Bassetti alle comunità parrocchiali delle 32 Unità pastorali dell’Archidiocesi perugino-pievese, che ha visto, nella sua giornata iniziale, presso il Centro Congressi “A. Capitini”, la partecipazione di oltre 600 persone tra delegati e “semplici” fedeli, seguita in streaming sul sito ufficiale della Diocesi (https://diocesi.perugia.it/), a cura del Servizio informatico diocesano. La video registrazione della prima giornata può essere vista sul canale YouTube dell’emittente diocesana Umbria Radio InBlu, che ha seguito i lavori della prima giornata e un ampio servizio di presentazione dell’Assemblea è pubblicato dal settimanale La Voce nel numero in edicola questo fine settimana.
Non è più sufficiente suonare le campane… Occorre uscire dalle sacrestie e dagli episcopati.
Ricordando quanto disse nel lontano 1957 l’allora cardinale di Milano Giovanni Battista Montini, nel lanciare una “Grande missione” nella sua Diocesi, il cardinale Bassetti non ha esitato a dire che «anche per la nostra Diocesi non è più sufficiente suonare le campane e aspettare che arrivino i fedeli in chiesa. Occorre uscire dalle sacrestie e dagli episcopi, è necessario andare tra “i templi della tecnica” dove vivono e lavorano le donne e gli uomini di oggi, ed è doveroso incontrare quelle persone fragili e abbandonate che vivono la drammatica solitudine esistenziale dei tempi odierni. Siamo dunque chiamati a farci annunciatori del Vangelo ovunque: nei centri storici delle nostre città e nei piccoli paeselli di campagna della nostra diocesi; tra i lavoratori delle poche fabbriche rimaste e tra i disoccupati e i precari che stanno per emigrare e lasciare la nostra terra; infine, tra tutti quegli uomini e quelle donne che popolano questi territori e che hanno smarrito il senso profondo della vita».
Annunciare il Vangelo senza piegarlo alle proprie visioni culturali o addirittura politiche.
«Lo stesso Montini, una volta diventato Papa Paolo VI – ha commentato il cardinale Bassetti –, in più occasioni esortò ogni uomo “a farsi missionario” e in una profetica esortazione apostolica – l’Evangelii Nuntiandi del 1975, che papa Francesco ha ripreso e sviluppato nell’Evangelii Gaudium – utilizzò le parole di san Paolo per definire lo spirito missionario della Chiesa: “L’impegno di annunziare il Vangelo agli uomini del nostro tempo” scrive Paolo VI è “per noi un ‘assillo quotidiano’, un programma di vita e d’azione, e un impegno fondamentale”. Questo assillo quotidiano è poi diventata la “nuova evangelizzazione” di san Giovanni Paolo II e oggi “l’annuncio gioioso” di Francesco che auspica addirittura una Chiesa in uscita capace di una totale “trasformazione missionaria”. Vorrei essere estremamente chiaro anche su questo punto: la missione a cui è chiamata la nostra Diocesi non può essere banalmente demandata ad un ufficio pastorale, ad una struttura diocesana o ad una cattedra teologica. Non si annuncia il Vangelo per decreto o con una conferenza. E non è neanche una questione riservata a specialisti del catechismo. Al contrario, è una questione che, in virtù del battesimo, ci riguarda tutti, perché, come scrive Francesco nell’Evangelii gaudium, “tutti siamo discepoli missionari”. Questo “rinnovato impulso missionario” si riferisce, pertanto, ad ogni battezzato in Cristo e ci fa essere, come scrive il Papa, degli “evangelizzatori con spirito”… Il Vangelo va annunciato sine glossa senza piegarlo ai propri interessi o alle proprie visioni culturali o addirittura politiche. Questo significa, come aveva già intuito Paolo VI, che prima di essere dei maestri il Vangelo va annunciato sine glossa senza piegarlo ai propri interessi o alle proprie visioni culturali o addirittura politiche, siamo chiamati ad essere dei testimoni autentici dell’amore di Cristo perché l’uomo contemporaneo se «ascolta i maestri» lo fa soltanto «perché sono dei testimoni».
Non fare proselitismo o fare numero, ma essere lievito e sale della terra.
«La vera missione di oggi, come ha detto Francesco, non consiste dunque nel fare proselitismo o nel fare numero – ha sottolineato il cardinale –. Non abbiamo bisogno di masse acritiche. Siamo chiamati, invece, ad essere lievito e sale della terra, senza imporre fardelli pesanti sulle spalle delle persone e senza ridurre la “predicazione a poche dottrine a volte più filosofiche che evangeliche”. In definitiva, quello a cui tutta la nostra Diocesi è chiamata, consiste nel tornare ad annunciare il Vangelo, come ci esorta l’Evangelii Gaudium, attorno al “primo annuncio o kerygma”, sperimentando nuove strade e nuovi luoghi di incontro e facendoci stupire dall’azione dello Spirito santo. Non possiamo rimanere fermi, infatti, alle tradizionali abitudini pastorali perché una Chiesa che non evangelizza è, di fatto – come ho già avuto modo di scrivere – “una Chiesa esangue, statica, senza spina dorsale e in fin dei conti una Chiesa morente”».
Sinodalità esatto contrario del clericalismo.
«Per far vivere concretamente questo spirito missionario – ha detto il presule, accingendosi a trattare il secondo aspetto della sua riflessione –, occorre un atteggiamento sinodale. La sinodalità, che in greco significa “andare sulla stessa strada”, è l’esatto contrario del clericalismo e prende forma nello sperimentare, concretamente, che la Chiesa è un corpo vivo, il corpo mistico di Cristo, e non un insieme di strutture burocratiche. Un corpo vitale, caratterizzato da una koinonia autentica: una comunione fraterna in cui le membra della Chiesa hanno la vocazione di essere in armonia tra di loro e condividono i doni, i carismi e i ministeri. Per fare tutto ciò, non esiste una formula matematica da applicare o una strategia pastorale studiata a tavolino. Quello che serve è la conversione pastorale evocata con forza da Papa Francesco e che consiste “nell’esercizio della maternità della Chiesa”. Si tratta di una vera conversione del cuore, del modo di pensare e del proprio modo di agire».
Anche nella Chiesa il dialogo è più fruttuoso di ogni litigio.
«La sinodalità – ha evidenziato il cardinale avviandosi alla conclusione – è dunque di fondamentale importanza perché “in questo tempo di particolarismi e allentamento dei legami ci può essere la tentazione di andare ciascuno per la propria strada. Isolarsi è spesso la tendenza del mondo contemporaneo. Una tendenza che può entrare anche all’interno della Chiesa ma che va allontanata con decisione: un corpo è vivo solo se tutte le membra cooperano tra loro. Nessun membro del corpo può vivere da se stesso”. Nella nostra Diocesi, per essere autenticamente un corpo vivo, è necessario che ogni parte si metta in contatto con l’altra, cioè che venga costruita una relazione. E per costruire una relazione è necessario parlare. Ma parlare in verità. Anzi, come ripete spesso il Papa, parlare con parresia. In definitiva, per costruire una comunione autentica in un corpo vivo è fondamentale che ogni parte del corpo sia capace di dialogare. Ecco l’ultima parola che stasera raccomando a tutta l’Assemblea diocesana: il dialogo. Il dialogo è più fruttuoso di ogni litigio. E “l’unità prevale sul conflitto” come scrive Francesco.Cari fratelli e sorelle, proprio per valorizzare la complessa pluralità di carismi che formano il corpo vivo della nostra Diocesi, è fondamentale saper dialogare. Chi dialoga vede nell’altro un fratello e quindi il volto di Cristo. E solo in questo modo si può realizzare il testamento di Gesù: ut unum sint, “perché tutti siano una sola cosa”».