Amici carissimi,
Il lezionario in questa domenica ci dona quella pagina del vangelo in cui Marco racconta che Gesù, dopo aver annunciato per la terza volta la sua passione, di nuovo deve confrontarsi con l’inadeguatezza dei discepoli. Se dopo il primo annuncio Pietro agisce come Satana, rifiutando il progetto di Gesù, e se dopo il secondo i discepoli si domandano chi sia il più grande, ora Giacomo e Giovanni chiedono addirittura al Signore di poter stare l’uno alla sua destra, e l’altro alla sua sinistra.
Cosa sta succedendo? Mentre il Messia ha intrapreso il suo viaggio verso Gerusalemme, ed è tutto proteso – come abbiamo appena sentito – a «dare la propria vita in riscatto per molti» (Mc 10,45), alcuni dei discepoli più vicini a Gesù vengono tentati dal potere e dal carrierismo. Forse pensavano di poter prendere i primi posti nella corte, quando Gesù a Gerusalemme avrebbe instaurato un regno terreno; forse alludevano a qualcosa d’altro, ma – almeno questo è chiaro – vogliono sapere qual è la loro posizione nella scala gerarchica.
Come risponde Gesù a tale richiesta inopportuna? Chiede ai suoi di non fare come i governanti delle nazioni, che cercano il potere fine a se stesso, e li invita piuttosto ad essere ministri, cioè servi degli altri. Gesù, poi, rafforzerà questo suo insegnamento (fatto a parole) attraverso un gesto, che compirà nella sua ultima cena, lavando i piedi ai discepoli (cf. Gv 13,1-15). Infine, Gesù avrà davvero qualcuno alla sua destra e alla sua sinistra, quando, sulla croce, mostrerà fino in fondo cosa significhi amare gli altri, cioè fino a dare la vita.
Miei cari, con quanta pazienza il Signore si pone davanti alle fragilità di coloro che ha chiamato. Con quanta sapienza educa il suo popolo, perché la sua comunità sia sempre più bella, capace di annunciare il suo vangelo.
È per questo che la Chiesa ha bisogno anche oggi di ripensare se stessa: non solo guardando a come porsi di fronte al mondo, ma anche per comprendere come viviamo le nostre relazioni. La pagina del vangelo di oggi ci dice, in fondo, che è facile equivocare cosa significa stare nella Chiesa, e come la tentazione di imporsi sugli altri sia sempre presente.
Il “tempo di grazia” del Sinodo – così l’ha definito Papa Francesco – è l’occasione che viene data a tutti noi, pastori e popolo di Dio, di ritrovarci insieme, in cammino, per riflettere sul modo di essere Chiesa dopo il Concilio Vaticano II.
Ecco allora che il sinodo universale dei Vescovi, e il cammino sinodale della Chiesa italiana, come quello della nostra Chiesa perugino-pievese, rappresentano per le nostre comunità una grande opportunità e anche una sfida.
Il Sinodo è un’opportunità. Recentemente sulle pagine di un quotidiano nazionale è stato scritto che questo evento è di enorme importanza, perché può rappresentare il “secondo tempo” del Concilio Vaticano. La storia lo insegna: senza i sinodi anche un Concilio può mancare di un’adeguata applicazione.
Chi scriveva tale riflessione aggiungeva anche che il Sinodo potrebbe arrivare a una conversione pastorale che in questi ultimi decenni è stata tentata da molti, ma ancora non conclusa. Insomma, il Sinodo è davvero un’occasione per mettere in pratica quello che manca ancora all’attuazione del Concilio Vaticano II.
Molti fedeli, lo sappiamo, attendono delle risposte, perché si trovino nuove strade di comunione, e si possano finalmente dismettere quelli che sono «modelli pastorali ripetitivi» che non portano più a nulla, come ha detto Papa Francesco domenica scorsa, 10 ottobre, nell’omelia in occasione dell’apertura del Sinodo nella Basilica di San Pietro.
Questo Sinodo però è anche una sfida, alla quale siamo chiamati tutti a partecipare, e dalla quale non possiamo tirarci fuori.
I rischi che il cammino sinodale si riduca a un “parlarsi addosso”, a un “evento di facciata”, o si riduca a “gruppi di studi fine a se stessi”, sono reali: lo stesso Papa Francesco – nell’omelia appena ricordata – ha messo in guardia tutti perché questo evento non si trasformi in «un convegno di studi o un congresso politico», o «in un parlamento».
Si tratta di un’impresa che va oltre le nostre forze? Noi, che spesso siamo come i due discepoli del vangelo di oggi, che invece di avere lo sguardo e il cuore di Gesù, guardano al proprio piccolo orticello, riusciremo in questo compito?
Vale la pena provarci, e soprattutto, occorre in primo luogo pregare. Pregare tutti, pregare con fede, pregare perché non si debba dire che abbiamo sprecato la nostra occasione, l’occasione di una vita!
Oggi, carissimi fratelli e sorelle, pur essendo domenica, vorrei ricordare che ricorre la memoria di Sant’Ignazio di Antiochia. Vescovo di una delle grandi metropoli dell’Impero romano, fu il terzo successore di Pietro in quella chiesa importante dell’Asia Minore. Prima di morire martire, probabilmente nel 107 d.C., sbranato dalle belve nel circo, lasciò sette lettere, nelle quali affrontava il tema che più gli stava caro, quello dell’unità con il proprio Vescovo. Scriveva Ignazio nella Lettera ai cristiani di Magnesia: «Rispettatevi l’un l’altro. Nessuno guardi il prossimo secondo la carne, ma in Gesù Cristo amatevi sempre a vicenda. Nulla sia tra voi che vi possa dividere, ma unitevi al vescovo e ai capi…» (Lettera ai cristiani di Magnesia, VI,2).
All’inizio del cammino sinodale, questo è l’augurio che faccio a tutti noi, che possiamo stare uniti anche quando dovremo confrontarci e avremo opinioni diverse. Ci conforta quello che scrive l’orante, nel Salmo che abbiamo appena recitato insieme: «Il Signore è nostro aiuto e nostro scudo» (Sal 33,10).
Carissimi, Dio ci aiuterà. Il Signore Gesù ci aiuterà. Ci confortano anche le parole della Lettera agli Ebrei, che dicevano: «abbiamo un sommo sacerdote grande» (Eb 4,14), Gesù Cristo, che conosce le nostre debolezze: è a lui che affidiamo il nostro cammino sinodale. Il Signore Gesù, che conosceva le debolezze dei suoi apostoli, e li ha educati e guidati con amore, sostenga ora anche noi. Lui, «il Pastore grande delle pecore» (Eb 13,20), che guida la Chiesa con il suo Spirito, ci aiuti in questo cammino per il bene della Chiesa e dell’umanità.
Gualtiero card. Bassetti
Arcivescovo di Perugia-Città della Pieve