Lettera dalla Siria

S.E. Rev.ma Mons. Giuseppe Chiaretti

LETTERA DALLA SIRIA

A fatica per gli scioperi siamo arrivati a Damasco. Molto hanno giovato a Roma le grida dei siriani inferociti che, a causa degli scioperi, attendevano da due giorni l’aereo. Un breve sonno (!) di tre ore in albergo, quindi a seguire la guida siriana, che era veramente in gamba: un musulmano colto e mite, che ci ha intrattenuto a lungo sulla storia della civiltà e dell’arte siriana. Visita di rito, scalzi, alla grande moschea di Damasco, che custodisce la testa di san Giovanni Battista onorata da cristiani – tra cui Benedetto XVI – e musulmani, e al ricchissimo e interessante museo, che custodisce documenti preziosi degli scavi di Mari, di Ebla, di Duros Europa, dove hanno lavorato e lavorano archeologi e studiosi italiani. Visita ai luoghi paolini: cripta di sant’Anania e chiesa della Folgorazione, ambedue appartenenti a comunità cristiane.
Il giorno dopo la visita ha riguardato il villaggio di Maalula dove si parla ancora l’aramaico, la lingua di Gesù, che una giovanetta ha devotamente fatto ascoltare, pregando il Pater Noster. Quindi la chiesa dei santi Sergio e Bacco, ed infine la cella reclusorio di Santa Tecla, una giovane ammiratrice di Paolo che al suo fuggire dagli sgherri vide aprirsi una fenditura nella roccia, che i devoti ripercorrono. E sono numerosissimi, come abbiamo potuto vedere, cristiani e musulmani, che si arrampicano sul cocuzzolo d’una vetta dov’è la cella, e baciano con devoto sguardo le antiche e numerose icone, compresa quella della Madonna. Ma icone veneratissime si trovano un po’ ovunque nelle chiese cristiane (in Siria, che è paese di cultura islamica piuttosto tollerante, ci sono almeno una dozzina di comunità di rito orientale, alcune unite a Roma, altre ortodosse). Una di queste, che la tradizione vuole dipinta da san Luca ed è una delle quattro icone a lui attribuite, si trova nella chiesa ortodossa di Seydnayya, principale meta di pellegrinaggio in Oriente.
Poi la lunga trasferta attraverso un paesaggio stepposo e desertico, all’incredibile scenario di monumenti romani in rovina nell’oasi di Palmira, con visita prolungata all’enorme tempio di Baal, alla via colonnata, al teatro, ai templi pagani, alla necropoli. Non è mancato neppure un pranzo sotto le tende dei beduini.
Altra lunga visita ad Aleppo, all’imponente “cittadella” militare, alla grande moschea, al caravanserraglio. Grandissima scoperta ha riservato l’enorme basilica cristiana di San Simeone lo Stilita, in cima ad un colle, con battistero isolato ottimamente conservato nel suo impianto ottagonale dirimpetto alla cattedrale, sotto la cui abside, ancora fruibile, abbiamo celebrato la messa. Abbiamo cercato di capire la “desertificazione” dei cristiani, come dimostrava lo stesso nome di “valle delle città morte”, con chiese maestose rovinate ma ancora in piedi, che svettano nel verde paesaggio.
Le difficoltà di accesso non impediscono a gruppi più folti di venire per ammirare i resti di quella che fu la sede di grandi comunità di anacoreti, poi riuniti in laure, e di monaci e monache. La presenza cristiana è ancora garantita dalle chiese orientali, scarse di fedeli. Quattro giorni sono veramente pochi per imprimere nella memoria ricordi ed emozioni. Ma tutti hanno certamente portato con sé il fascino dei ruderi grandiosi del tempio di Baal, da un lato, e della bellissima basilica di San Simeone lo Stilita, dall’altro. Nessuna fotografia può rendere la sacralità e l’imponenza di tanti luoghi ridotti a macerie.
Le giornate aperte e concluse con le Lodi, il Vespro e il Rosario, quasi seminando grazie sul nostro cammino, volevano infondere speranza ai pochi evangelizzatori che sulle orme degli apostoli affrontano le terre della Chiesa, insanguinata da tanti martiri.

Venga presto il tuo regno, Signore!

Da Damasco, 22 novembre 2008

+ Giuseppe Chiaretti, arcivescovo