Celebrata la 30a Giornata in memoria dei missionari martiri con la veglia di preghiera guidata dal cardinale Gualtiero Bassetti. Il presule: «Il Signore non è un sonnifero per stare tranquilli… La vita cristiana è seguire Cristo fino alla Croce, quindi fino al martirio fecondo di vita».

Si è tenuta a Perugia, nella serata del 24 marzo, presso complesso parrocchiale “San Giovanni Paolo II” di Prepo, la Veglia di preghiera per la 30a Giornata in memoria dei missionari martiri, guidata dal cardinale Gualtiero Bassetti insieme a mons. Orlando Sbicca, direttore del Centro missionario diocesano.

Il martirio è nel Dna del missionario. Promossa ogni anno dal Centro missionario dell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve, la veglia ha avuto come momento centrale il ricordo dei 22 missionari uccisi nel 2021, ricordati ciascuno con il proprio nome da mons. Sbicca. «Il martirio è nel Dna del missionario» ha detto il sacerdote introducendo la veglia e ricordando le tre persone uccise in una notte quando lui era missionario in Burundi. Ma questa sera, ha aggiunto, «pregheremo anche per questa esperienza drammatica di questa maledetta guerra, pregheremo affinché i popoli trovino la pace».

La testimonianza. Altro momento centrale della Veglia, in cui si sono alternate letture bibliche con preghiere di intercessione, è stata la testimonianza video, introdotta da Elena di Perugia, sulla vita di uno dei 22 martiri: Nadia de Munari, di Vicenza, che aveva scelto di condividere la vita dei poveri in Perù lavorando come volontaria nelle realtà dell’Operazione Mato Grosso, e per questo conosciuta anche in Umbria. Negli ultimi anni Nadia era scesa dai villaggi della montagna peruviana per gestire sei asili nido che il vescovo mons. Ugo de Censi aveva voluto realizzare nel deserto dove vivono in estrema povertà i contadini, anch’essi scesi dalla montagna per cercare in città un lavoro e una vita migliore. Ma in pochi anni la città è passata da 80mila abitanti a 1milione e 200mila, con una forte espansione nel deserto dove non ci sono né acqua né servizi e le “case” non sono altro che pochi metri quadrati di deserto recintati con stuoie. Proprio lì gli asili accolgono e danno una educazione a bambini che altrimenti non avrebbero nulla. Nadia è morta a cinquant’anni in Perù, in ospedale, il 24 aprile 2021, a Nuevo Chimboté, due giorni dopo un’aggressione subita per rubarle il telefono di poco valore.

Il ricordo del cardinale.  Bassetti ha ringraziato tutti per l’impegno e per la partecipazione alla veglia, ed ha ricordato con emozione la prima volta che ha sentito parlare di Nadia de Munari. «Non ho conosciuto Nadia de Munari, ma quando morì ricevetti in Cei un gruppo di coloro che l’avevano conosciuta, persone che sono state anche i testimoni della sua vita davvero segnata dalla presenza del Signore. La presenza di Dio nella nostra vita non ci toglie i problemi, anzi ce l’aumenta, umanamente parlando. Chi crede che il Signore sia un sonnifero per stare più tranquilli, ha sbagliato indirizzo, non è questa la vita cristiana, perché la vita cristiana è seguire Cristo e seguirlo in tutta la sua esperienza fino alla Croce, quindi fino al martirio che è sempre fecondo di vita. Per me fu un momento molto forte quella mattina in cui ascoltai le loro esperienze e stasera è stata una particolare emozione quando l’ho rivista nel filmato».

Il sangue dei martiri, il sangue di Cristo. Il cardinale ha proseguito ricordando un’altra sua esperienza definita, dallo stesso Bassetti, «forse ancora più drammatica per me. Una delle cose che mi ha impressionato di più nella mia vita è stata la visita in Sri Lanka a Colombo. Ero da poco presidente della Cei, e ci andai dopo che la mattina di Pasqua era avvenuto in tre chiese quel terribile eccidio con la morte di 285 persone. Le chiese erano ancora imbrattate di sangue e mi ha colpito particolarmente il volto di una Madonna tutto insanguinato. Si vedevano ancora i segni della devastazione e il martirio di quelle persone che a Pasqua erano lì a far festa per il Signore risorto. Quando la sera ho celebrato la messa, mi pareva di vedere dentro quel Calice consacrato non soltanto il sangue di Gesù, ma anche il sangue di tutti questi fratelli e sorelle innocenti».

La fede sia davvero contagiosa. «Noi siamo debitori nei loro confronti – ha commentato il cardinale avviandosi alla conclusione –. Il ricordo dei martiri nella Chiesa – che poi sono i martiri anche per tutta l’umanità – non si può mai risolvere soltanto in un ricordo, in una commemorazione, ma dobbiamo tener vivo che dopo Cristo, che ha dato per noi il suo sangue, c’è una serie infinita di uomini e di donne che per lo stesso motivo hanno pagato con la loro vita. Diceva Tertulliano: il sangue dei Martiri è il seme dei cristiani; quindi anche il seme della nostra fede, della nostra vita spirituale, della nostra testimonianza. Mi raccomando, testimoniamo con gioia la nostra fede, sia davvero una fede contagiosa la nostra».