Celebrata in cattedrale la domenica della Parola. L’arcivescovo Ivan Maffeis all’omelia: «È una Parola che, anzitutto, chiama a conversione, a riconoscere che c’è Qualcuno in cui riporre fiducia»

«Proprio perché le nostre notti siano abitate dalla luce della sua presenza, Papa Francesco con la domenica della Parola ha voluto incoraggiarci a una familiarità e ad un amore sempre maggiore per la Bibbia. E dove arriva “la buona novella del regno” c’è anche la cura di “ogni sorta di malattie e di infermità”. Dove arriva la fede fiorisce la carità. Perché – sono ancora parole del Papa – “la gioia del Vangelo riempie il cuore e la vita intera di coloro che si incontrano con Gesù… Coloro che si lasciano salvare da Lui sono liberati dal peccato, dalla tristezza, dal vuoto interiore, dall’isolamento…” (Francesco, EG 1)». Così l’arcivescovo Ivan Maffeis all’omelia della celebrazione eucaristica della domenica della Parola del 22 gennaio, nella cattedrale di Perugia; celebrazione preceduta dalla lectio divina sul brano evangelico di Marta e Maria (Lc 10,38-42) tenuta da padre Giulio Michelini (Ofm), responsabile del Servizio per l’Animazione Biblica (SAB), e dall’architetto Micaela Soranzo, che ha offerto una lettura iconografica del medesimo brano.

Il richiamo alla conversione. Monsignor Maffeis, nell’omelia (il testo integrale è consultabile sul sito: www.diocesi.perugia.it – sezione arcivescovo-omelie), commentando la Parola di Dio, si è soffermato sul significato del popolo d’Israele “che camminava nelle tenebre ha visto una grande luce”. «A sorpresa – ha sottolineato l’arcivescovo –, la prima patria su cui rifulge la luce non è la zelante Giudea, ma una terra che è crocevia e crogiolo di lingue, religioni e culture, contesto pluralista e complesso: quella Galilea delle genti nella quale, alla fine del Vangelo, il Risorto tornerà a dare appuntamento ai suoi… La Parola risuona in questa notte, in questa terra semi-pagana che siamo con le nostre ambiguità e contraddizioni: e già questa scelta di campo non contiene forse anche un’indicazione per il nostro essere Chiesa? È una Parola che, anzitutto, chiama a conversione, a riconoscere che c’è Qualcuno in cui riporre fiducia. Cambiare l’orientamento della vita è la porta d’entrata, la premessa e la condizione per capire tutto il resto…».

La dimensione della fraternità. Nel commentare il brano del Vangelo della domenica, mons. Maffeis ha parlato di «una Parola che attrae», perché «raggiunge nella cornice feriale, lambisce la riva di quel lago che, per dei pescatori, è fonte di sostentamento, mentre rappresenta anche minaccia e pericolo a causa della forza incontrollabile dell’acqua e del vento». Nei fratelli pescatori, Simone e Andrea e Giacomo e Giovanni, traspare la fraternità della stessa Chiesa, ha evidenziato ancora l’arcivescovo dicendo: «la vita cristiana rimane impensabile senza questa dimensione. Fraternità. E che altro dev’essere la Chiesa?».

Essere anche rete. Nello spiegare che la Parola di Dio «consegna a una missione: “Vi farò pescatori di uomini”», Maffeis ha evidenziato che «il seguire le orme del Signore, lo stare con lui non è fine a se stesso: ha come orizzonte il servizio, l’impegno a farsi rete gettata nel mare della storia per non lasciare nessuno in balìa delle onde; rete che aiuta e sostiene i fratelli nel sottrarsi alle acque – alle forze ostili – per respirare a pieni polmoni, per ritrovare quella dignità che il male umilia e calpesta».

No a una Chiesa divisa. Monsignor Maffeis, avviandosi alla conclusione, ha parlato di «una Parola che costruisce unità e pace, che cerca e si radica in ciò che unisce: una rete lacerata serve a poco, proprio come una Chiesa divisa: “Io sono di Paolo”, “Io invece sono di Apollo”, “Io sono di Benedetto”, “Io invece sono di Francesco”…“Forse che Cristo è diviso?”. Lui non ci appartiene, semmai noi siamo chiamati ad appartenergli; nessuno può appropriarselo, né presumere di definirlo. Lumen gentium è sì il titolo della Costituzione conciliare sulla Chiesa, ma solo per ricordare che la luce delle genti è Gesù Cristo…».