Perugia: “Contrasto alla povertà. L’impegno della Caritas”, il Terzo Rapporto a cura dell’Osservatorio diocesano sulle povertà e l’inclusione sociale.

Si compone di due parti per complessive 56 pagine con 31 tabelle e grafici il Terzo Rapporto sulla povertà nell’Archidiocesi di Perugia-Città della Pieve dal titolo: “Contrasto alla povertà. L’impegno della Caritas”. Curato dall’Osservatorio sulle povertà e l’inclusione sociale della Caritas diocesana, è stato presentato a Perugia il 21 settembre da mons. Saulo Scarabattoli, vicario episcopale della Prima Zona pastorale, dal diacono Giancarlo Pecetti, direttore della Caritas diocesana, e dall’economista Pierluigi Maria Grasselli, direttore dell’Osservatorio. La prima parte è dedicata a “La povertà incontrata nel Centro di ascolto diocesano”; mentre la seconda tratta “Un orizzonte più ampio” con una “Prima analisi dei dati di una molteplicità di Centri di ascolto parrocchiali”, comprendente delle storie di vita di persone che si sono recate in Caritas per ricevere aiuto.

Il Rapporto riguarda i dati 2017 del Centro ascolto diocesano (Cdad), offrendo un’analisi delle “caratteristiche personali e familiari” delle persone che si sono rivolte al Cdad: cittadinanza, classi di età, stato civile, nucleo di convivenza, tipo di abitazione, livello di istruzione e condizione occupazionale. Il Rapporto si sofferma sulla “domanda” dovuta a “una molteplicità di bisogni” e sulla relativa “risposta-azione della Caritas”. Dallo studio emerge l’“importanza economica e sociale del contrasto alla disuguaglianza e alla povertà” e l’“inefficacia delle politiche assistenziali in Italia e l’istituzione del REI”. Riguardo al Reddito di Inclusione (REI), nel Rapporto, attraverso le “indicazioni sulla prima attuazione del REI”, vengono evidenziate le “condizioni per un suo potenziamento”, oltre a suggerire quale “impegno del Governo locale e di Caritas contro disuguaglianza e povertà”.

Di seguito viene proposta una sintesi, a cura del prof. Grasselli, di questo Terzo Rapporto che si apre con un breve focus sui dati umbri e italiani del fenomeno.

 

Comparazione dati diocesani con quelli regionali e nazionali.

            La povertà assoluta è in crescita in Italia e nel 2017 riguarda 5 milioni 58 mila persone, corrispondenti a 1 milione 778 mila famiglie, punto di arrivo di una espansione pressoché ininterrotta negli anni precedenti. Per collocare l’Umbria nel contesto nazionale si fa riferimento agli ultimi dati sulla povertà “relativa”, che nel 2017 interessa in Italia il 12,3% delle famiglie residenti (per un totale di 3 milioni 171 mila) e 9 milioni 368 mila individui. In Umbria, tale dato sale al 12,6% (di contro al 7,9% medio del Centro Italia), che risulta il valore più elevato delle Regioni del Centro-Nord.

Al Centro di ascolto diocesano di Perugia il numero delle persone incontrate nel 2017 segna una diminuzione (-4,1%) rispetto al 2016, passando da 1.061 a 1.018. Tra il 2014 e il 2017 si registra un aumento marcato della quota degli stranieri, con il peso degli italiani che nel 2017 si attesta al 25,9% (dato nettamente inferiore al 42,8%, stimato da Caritas per l’Italia nel 2016). Al riguardo, si tenga conto dell’intenso afflusso di migranti in Umbria e in particolare a Perugia (con una percentuale di stranieri su residenti rispettivamente di 10,9% ed 11,2% contro l’8,3% nazionale). Rispetto al genere, gli utenti italiani si dividono per circa la metà tra maschi e femmine, mentre tra gli utenti stranieri prevalgono le femmine (61,5%).

Per classi di età… I giovani le persone più penalizzate.

Distinguendo per classi di età, l’incidenza maggiore, anche nel 2017, riguarda le classi 35-44 (34%) e 45-54 (25%). Segue la classe 55-64. Pressoché un quarto degli utenti del Centro di ascolto è costituito da giovani, appartenenti alla classe 19-24, e soprattutto alla classe 25-34. Se si distingue in base alla cittadinanza, gli italiani mostrano una chiara prevalenza nelle classi da 45 e oltre, mentre gli stranieri nella 25-34, e soprattutto nella 35-44. Ciò esprime la diversità nella situazione anagrafica degli utenti Caritas tra stranieri e italiani, questi ultimi caratterizzati da un’età più elevata. Si evidenzia altresì la maggior consistenza delle età più produttive tra gli stranieri, che suggerisce così la distribuzione, tra i due gruppi, dei bisogni fondamentali di lavoro e di assistenza. Notiamo anche l’appartenenza alla classe 18-34 di oltre il 10% degli italiani (e del 30,7% degli stranieri). Questo aspetto è molto rilevante perché, a differenza del passato, oggi i giovani sono le persone più penalizzate.

Nazionalità, stato civile e nucleo di convivenza… Netto peggioramento la condizione dei minori.

Secondo la nazionalità, le quote più rilevanti di stranieri provengono da Marocco (17,9%) ed Ecuador (13,7%); seguono Nigeria, Albania, Camerun. Per quanto riguarda lo stato civile, nel 2017 prevale, come nel 2016, la condizione di coniugato/a (48,3%), seguita da quella di celibe/nubile, entrambe registrando un sensibile aumento rispetto al 2016. Risulta del tutto contenuta la presenza di separati e divorziati. Tenendo conto della cittadinanza, gli italiani mostrano un’incidenza nettamente maggiore di celibi/nubili, e invece nettamente inferiore di coniugati. Risulta altresì maggiore tra gli italiani l’incidenza di separati legalmente, divorziati, vedovi. Stando ai dati esaminati, gli italiani poveri risultano più vecchi e più soli. Con riferimento al nucleo di convivenza, nel 2017 prevalgono in modo netto quelli che vivono con familiari/parenti (71,2%), seguiti da coloro che vivono soli, la cui quota ha mostrato una crescita di rilievo nel periodo 2015-2017. Distinguendo tra italiani e stranieri, si osservano per il 2017 differenze molto rilevanti nelle quote delle due tipologie prevalenti: mentre l’incidenza di quelli che vivono soli è tra gli italiani più che doppia rispetto agli stranieri (40,5 contro 16,7%), il peso dei nuclei con familiari/parenti presso gli stranieri (76,8%) surclassa quello degli italiani (54,9%), i quali vivono sotto il peso di situazioni che mostrano una forte criticità. Se associamo ragionevolmente all’abitare con familiari e parenti la presenza di minori, si propone l’aspetto molto preoccupante del netto peggioramento della condizione dei minori a partire dall’inizio della crisi, e quindi delle loro prospettive di vita, con “la creazione di circoli viziosi di deprivazione e vulnerabilità”.

Problema abitativo… netta insufficienza dell’offerta di case popolari.

Sul fronte abitativo nel 2017 prevale la categoria di quelli che abitano in casa in affitto da privati (65,7%), seguita a distanza da coloro che vivono in casa in affitto da ente pubblico (9,6%). Rimane immutato il numero, peraltro elevato (60 utenti, pari al 5,9% del totale), di coloro che si dichiarano privi di abitazione. La distinzione per cittadinanza mostra il miglior posizionamento degli italiani sia sul fronte della casa in proprietà che di quella in affitto da ente pubblico, di contro a una massiccia dipendenza degli stranieri dalla casa in affitto da privati. In ogni caso i dati disponibili confermano l’elevato disagio abitativo che colpisce l’utenza Caritas. Alla difficoltà di ottenere un accesso all’abitazione a costi ragionevoli si affiancano la netta insufficienza dell’offerta di case popolari (a canone sociale), e in generale la presenza di gravi problematiche nella situazione abitativa (tra cui cattive condizioni dell’abitazione, sovraffollamento, sospensione delle utenze, sfratto, …).

Istruzione e povertà educativa.

Per quanto riguarda il livello di istruzione degli utenti del Cdad, il 36,5% dei casi dichiarati comprende fino alla licenza media inferiore inclusa, con un netto aumento rispetto ai due anni precedenti. Registrano un aumento significativo anche il diploma professionale e la licenza media superiore. Sono modestissime le aliquote del diploma universitario e della laurea (anche questa in aumento: dall’1,2 al 2,1%). Tenendo conto dell’elevata quota di utenti con titolo di studio fino alla licenza media inferiore compresa, e dell’alta incidenza dei casi non specificati (36,8%), può essere richiamata la corrispondenza tra povertà e bassi livelli di istruzione. Non risultano differenze di rilievo nell’incidenza delle varie tipologie tra italiani e stranieri. Il peso elevato dei bassi livelli di scolarizzazione che risultano dai dati raccolti, richiama il fenomeno della povertà educativa, collegata all’abbandono precoce del percorso scolastico, dipendente in primo luogo dalle caratteristiche della famiglia di riferimento, tra cui soprattutto la provenienza straniera. E tutto ciò non è certo premessa di buone prospettive sul fronte occupazionale.

Professione… la gravità della disoccupazione giovanile.

Sotto il profilo professionale, nel 2017 prevale nettamente tra gli utenti la condizione di disoccupato in cerca di prima/nuova occupazione (64,5%). Seguono quella di occupato (13,3%) e quella di pensionato (5,7%). Tra gli stranieri si registra la maggior rilevanza, assoluta e relativa di occupati e soprattutto di disoccupati, e invece, per gli italiani, di inabili al lavoro e di pensionati. Come mostra la rilevazione dei bisogni degli utenti Caritas, distinguendo per classe di età, la denuncia del bisogno di lavoro concerne quasi l’80% dei giovani e degli adulti.  Il dato Caritas conferma la gravità della disoccupazione giovanile, classe 15-24 anni, e dei cosiddetti “giovani adulti”, classe 25-34 anni. Al riguardo, si ricordano le iniziative che la Chiesa, e specificamente le Caritas diocesane, inclusa la Caritas di Perugia, adotta per fronteggiare il disagio occupazionale di molti giovani (e non solo), dagli sportelli di orientamento/consulenza lavoro, alle azioni di formazione e/o riqualificazione professionale, fino alla promozione di borse lavoro e stage.

I bisogni degli utenti Caritas.

Nel triennio 2015-2017 le macrovoci di bisogno riguardano, nell’ordine, problemi di occupazione/lavoro, economici/di povertà e abitativi. Nel 2017 i problemi abitativi pesano per il 23,7%, quelli di lavoro per il 75,5%, quelli economici per il 71,5%. Nel triennio cresce fortemente il problema abitativo e si riduce l’iniziale prevalenza dei problemi di lavoro su quelli economici. Seguono, nell’ordine, i problemi familiari, e quelli legati all’immigrazione, anch’essi con un aumento molto forte nel triennio, quindi i problemi di salute, anch’essi in espansione. Una quota molto modesta riguarda infine dipendenze e detenzione/giustizia. Distinguendo gli utenti per cittadinanza, si osserva per gli italiani una maggiore frequenza nell’avvertire i problemi economici, abitativi, familiari e di salute, nonché di detenzione e “dipendenza”. Gli stranieri invece esprimono maggiormente i problemi di lavoro, e ovviamente quelli legati all’immigrazione. Se si tiene conto della classe di età degli utenti, la problematica del lavoro risulta incidere in maniera forte tra i giovani (77,6%) e negli adulti (79,6%). I bisogni legati alle difficoltà economiche aumentano invece al crescere dell’età degli utenti, passando dal 64,2% dei giovani all’86,0% degli anziani.

Gli interventi Caritas. Ma occorre un welfare più efficace e una cittadinanza più sensibile alle criticità sociali.

Tra gli interventi realizzati dalla Caritas diocesana per fronteggiare i bisogni e le richieste degli utenti, si segnala l’espansione rilevata nel triennio 2015-2017 dei servizi di alloggio, dei servizi e beni materiali, delle consulenze professionali, della sanità. Tutto questo, insieme all’aumento significativo dell’attività di ascolto (+18,7% nel 2017), riflette la suddetta crescente complessità e multidimensionalità delle situazioni che gli utenti sottopongono all’attenzione degli operatori Caritas.

 

«L’analisi dei bisogni compiuta in questo Terzo Rapporto – ha evidenziato durante la presentazione il prof. Grasselli – conferma l’importanza di un’offerta articolata ed appropriata di servizi, e in primo luogo di servizi pubblici, collegati in un’efficace rete territoriale, curandone dotazione, accesso e fruibilità.  Tale esigenza è venuta alla ribalta con l’introduzione del Reddito di inclusione (REI), che prevede, tra l’altro, che gli Enti locali possano potenziare la loro dotazione di operatori.  Per la migliore attuazione del REI, oltre ad un sostanziale aumento delle risorse monetarie, s’impone il rafforzamento dei servizi pubblici territoriali, e si raccomanda il coinvolgimento della comunità, più sensibile alle criticità sociali: per questo è opportuno che la Regione Umbria discuta con gli Ambiti territoriali, con gli operatori e con la cittadinanza le possibili e più auspicabili forme di cooperazione e collaborazione».