L’omelia del cardinale Bassetti alla celebrazione eucaristica con il canto del Te Deum in cattedrale, giovedì 31 dicembre. Il presule alla comunità diocesana: «Non possiamo farci vincere dallo sconforto»

Carissimi fratelli e sorelle,

le letture bibliche che abbiamo ascoltato fanno riferimento alla grande festa di domani (primo gennaio 2021, n.d.r.), la solennità di Maria Madre di Dio. Il titolo più grande che la fede del popolo cristiano attribuisce dai primi secoli alla Santissima Madre di Gesù, Maria di Nazareth.

Tutto concorre all’umana salvezza. L’evangelista Luca ci riferisce lo stupore dei pastori al vedere il bambino nella mangiatoia, assieme a Maria e Giuseppe. Nella povertà estrema, il figlio di Dio è venuto nella carne per visitare, guarire e salvare tutti gli uomini. Oggi siamo noi quei pastori, invitati a contemplare il mistero dell’incarnazione e a dare la testimonianza dell’opera redentrice del Signore. Egli è venuto a cercarci, caricandosi di tutta la fragilità umana, escluso il peccato. Ha abitato in mezzo a noi, è vissuto come noi, ha sofferto come noi soffriamo. Ha dato però un significato nuovo all’esistenza umana: al vivere, al soffrire e al morire. Tutto in lui trova un significato, perché tutto concorre all’umana salvezza.

Fragilità e paura. Al compiersi di questo giorno (31 dicembre 2020, ndr), termina anche un anno lungo e travagliato, in cui abbiamo avvertito in modo speciale la nostra fragilità e quel sentimento, a taluni sconosciuto, che è la paura. Paura dei contagi, paura della malattia, paura della morte.

Due immagini. Sul finire della seconda decade di questo secolo, si sta ripetendo quanto avvenne esattamente cent’anni fa, al chiudersi del primo ventennio del Novecento: allora fu l’epidemia detta “spagnola” ad incutere terrore e a provocare milioni di morti; molti nostri anziani fino a poco tempo fa ancora la ricordavano. Nella mia famiglia avemmo un lutto molto grave: morì mia nonna, che aveva poco più di 45 anni, lasciando undici figlioli e mio padre aveva appena otto anni. Quest’anno è toccato alla nostra generazione vivere nell’angoscia a motivo della pandemia di Covid-19. I nostri ospedali sono pieni di persone che sono state colpite e tanti sono stati i morti. Ricordiamo ancora con strazio le bare allineate e caricate sui camion militari per essere portate al cimitero: una fila interminabile. Insieme a questa, un’altra immagine si è impressa nella nostra memoria collettiva: Papa Francesco in preghiera in piazza San Pietro totalmente vuota. Mentre il Santo Padre pregava per il mondo intero, tutti eravamo spiritualmente presenti in quella piazza a soffrire e pregare con lui.

Misericordiae Domini. Durante l’estate sembrava tutto finito, invece il virus era ancora in agguato e adesso stiamo sperimentando una nuova onda lunga, che non sappiamo quando finirà. Grazie a Dio sta iniziando la somministrazione dei vaccini e sono state messe a punto delle cure, per cui tante persone potranno guarire e tornare a pienezza di vita. Tra queste ci sono anche io, come sapete. Il Signore mi è stato vicino e mi ha dato la forza. Il dramma che ho vissuto nel mese di novembre mi induce a gridare dal profondo del cuore: «Misericordiae Domini, quia non sumus consumpti» (Lam 3,22) [è per grazia di Dio se siamo ancora vivi!].

Fraternità basata sull’amore reale. Il Santo Padre nel giorno di Natale ha ricordato al mondo intero che «in questo momento storico, segnato dalla crisi ecologica e da gravi squilibri economici e sociali, aggravati dalla pandemia del coronavirus, abbiamo più che mai bisogno di fraternità. E Dio ce la offre donandoci il suo Figlio Gesù: non una fraternità fatta di belle parole, di ideali astratti, o di vaghi sentimenti… No. Una fraternità basata sull’amore reale, capace di incontrare l’altro diverso da me, di con-patire le sue sofferenze». E nel Messaggio per la Giornata Mondiale della Pace, che si celebrerà domani, il Papa sottolinea ancora la necessità di prendersi cura del creato e di tutti i fratelli.

Dar vita a Chiesa e società migliori. Carissimi, quest’anno non sarà trascorso del tutto invano se ci saremo riavvicinati di più a Dio e se avremo cercato con maggior impegno di aiutare il nostro prossimo con gesti di solidarietà, che in verità durante tutto l’anno e, soprattutto, in questo periodo di Natale non sono certo mancati. Centinaia di pasti sono stati donati da ristoratori e commercianti alla nostra Caritas perché fossero distribuiti ai poveri insieme a tante altre offerte per aiutare la povera gente a pagare l’affitto. E questo è avvenuto non solo a Perugia ma anche in molte zone d’Italia. Con l’amore a Dio e al prossimo riusciremo a superare questo tempo calamitoso per dar vita a una Chiesa e a una società migliori. Con questi sentimenti io penso di avere espresso anche quello che attraversa il vostro cuore e la vostra anima in questo momento.

Invocare la protezione di Maria. Animati da questo spirito di fede e di fraternità, vorrei che questa sera, ultima dell’anno e vigilia della solennità della Madre di Dio, si ripetano in questa chiesa cattedrale le parole dell’antica invocazione collettiva alla Vergine Maria: «Salus nostra in manu tua est, et nos et terra nostra tui sumus!» [La nostra salute/salvezza è in mano tua, e noi e la terra nostra siamo tuoi!]. Sono scritte nel gonfalone di inizio Cinquecento esposto in un altare laterale: quel grido si levava alla Vergine perché fermasse il flagello della pestilenza, una delle tante da cui l’Italia, e Perugia in particolare, fu afflitta. Un voto di dedicazione della città a Maria venne espressamente deliberato all’unanimità dal Consiglio comunale il 22 gennaio 1631, e solennemente rinnovato nell’ottobre 1716. La Mater Gratiae, Madonna della Grazia (e delle grazie) interceda per noi presso Dio perché finisca presto anche il flagello attuale.

Non perdere la speranza. Tanto è il dolore e la sofferenza di questi mesi, che a fatica stasera le nostre labbra si aprono per cantare il Te Deum; ma non possiamo farci vincere dallo scoramento, dobbiamo trovare la forza per andare avanti, e non perdere la speranza. Un bellissimo inno antico, che si canta prima del Natale, ci ricorda l’amore che Dio ha per noi: «Consolati, consolati, o popolo mio: presto verrà la tua salvezza. Perché ti consumi nella mestizia, perché il tuo dolore si è rinnovato? Ti salverò, non temere, perché io sono il Signore Dio tuo, il Santo d’Israele, il tuo Redentore» (Rorate caeli). Amen!

Gualtiero Card. Bassetti