Esequie dell’arcivescovo emerito mons. Giuseppe Chiaretti nella cattedrale di San Lorenzo. L’omelia (testo integrale) del cardinale Gualtiero Bassetti.

IN MORTE DI MONS. GIUSEPPE CHIARETTI

Omelia del Card. Gualtiero Bassetti

 

Fratelli e sorelle, diamo quest’oggi il cristiano saluto a Mons. Giuseppe Chiaretti, che ha lasciato questo mondo per tornare al Padre. Saluto i fratelli cardinali e vescovi qui convenuti, tutti i sacerdoti, le autorità civili e militari, le delegazioni di Leonessa e San Benedetto del Tronto. Abbraccio con tutto il cuore la sorella Piera, le nipoti e i familiari.

«Spes sicut anchora tuta ac firma»: nella speranza noi abbiamo un’àncora della nostra vita, sicura e salda.

Nel motto episcopale del vescovo Giuseppe, tratto dalla Lettera agli Ebrei, si concentra la storia e la personalità di un uomo che ha fatto della vita in Cristo la sua sicura ed eterna speranza. La vita dei cristiani viene descritta come quella dei naufraghi che, sopravvissuti al mare in tempesta, si aggrappano a qualcosa di sicuro e stabile, per non affondare. Quest’àncora fa sì che la barca non venga travolta dalle onde e, scongiurato il naufragio, possa approdare al porto sicuro. La speranza nel Cristo, autore di un nuovo ed eterno sacerdozio di salvezza, lo ha sostenuto per tutta la vita.

Il mondo in cui ha visto la luce, il 19 aprile 1933, era fatto di cose semplici, genuine, profondamente cristiane. Leonessa, ai piedi del Monte Tilia, non lontano dal Terminillo, è stata sempre la sua “patria”: si può dire che ne conoscesse ogni pietra. La bellezza di un paesaggio stupendo si confondeva allora con la povertà e precarietà di vita.

Giuseppe, ancora bambino, vive questo inevitabile contrasto. Non ne fa un problema, non ne avverte il disagio. A moltiplicare l’insicurezza arriva presto la guerra, che non risparmia neanche i luoghi isolati e la popolazione inerme. Tra le vittime il cugino, Don Concezio, strappato a forza dalla chiesa per essere anche fucilato con altri innocenti dai soldati tedeschi. Mons. Chiaretti non ha mai dimenticato quell’orrore e la memoria del cugino prete, forse immagine del sacerdote vittima per la vita della comunità, è la figura che più ha influito sulla sua personalità, dopo quella del Santo eponimo di Leonessa, il frate cappuccino san Giuseppe, impavido predicatore del Vangelo.

Nato nella parte di Leonessa soggetta alla giurisdizione ecclesiastica dell’arcidiocesi di Spoleto, mons. Chiaretti entra ancora ragazzino nel Seminario Regionale di Assisi. È intelligente, vispo e studioso. Verrà ordinato sacerdote a Leonessa l’8 dicembre 1955. Ad imporgli le mani l’arcivescovo Raffaele Radossi, profugo dalmata, anch’egli coraggioso testimone del Vangelo di Cristo.

Gli anni sereni del Seminario e dello studio lasciano ben presto lo spazio ad una realtà pastorale molto concreta. Tra le prime esperienze, la guida di una piccola comunità del reatino. Poche decine di anime, ma i rapporti umani non sono facili e ciò mette a dura prova la resistenza del giovane prete. La sofferenza da subito segna la sua sensibilità, molto profonda anche se non lo dava a vedere, e la sua vita di presbitero.

In quegli anni matura come uomo e pastore; segue poco le pastorali teoriche ma è sempre vicino alle gente, della quale percepisce da subito gli umori, le gioie e le angosce. Occupa con lo studio il molto tempo che, suo malgrado, i parrocchiani gli lasciano libero. Ottiene ben presto una licenza in Teologia (1960) e il diploma in Teologia pastorale e liturgica (1961) alla Pontificia Università Lateranense di Roma; poi si laurea in Lettere classiche (1967) all’Università degli Studi di Perugia (per alcuni anni sarà anche uno stimato insegnante). E «la speranza gli fa buona ogni strada»: questo amava ripetere anche agli altri, come augurio.

Gli arcivescovi Giuliano Agresti e Pietro Ottorino Alberti notano le qualità umane, intellettuali e pastorali di don Chiaretti e lo chiamano a Spoleto a collaborare in curia. È apprezzato anche dai vescovi umbri, che gli chiedono di animare il Centro di pastorale regionale. Nel 1983 papa Giovanni Paolo II lo nomina vescovo di Montalto-Ripatransone-San Benedetto del Tronto.

La comunità che lo aspettava come guida, serena nei rapporti umani, richiedeva però fin da subito un grande impegno a motivo dello spostamento della sede episcopale da Ripatransone a San Benedetto del Tronto, nuova ed effervescente realtà urbana del litorale adriatico. Mons. Chiaretti ha sentito molto forte il legame con questa Chiesa, che non è stata solo la sua “sposa”, ma anche la sua creatura. Tutti a San Benedetto lo ricordano e ancora oggi lo amano!

Nel 1995, ecco la promozione ad arcivescovo metropolita di Perugia-Città della Pieve, dove fece ingresso solenne domenica 28 gennaio 1996, vigilia della festa del patrono san Costanzo. Arrivò con un programma lineare e impegnativo: la visita pastorale, un congresso eucaristico, la celebrazione del grande giubileo del 2000 e un sinodo diocesano. Porterà a termine ogni iniziativa: capacità e inventiva non gli mancavano. Nell’ambiente della cultura laica e della terra da decenni accesa da forti fermenti anticlericali, sa trovare un suo spazio e sa farsi apprezzare. Una grande leva è la sua preparazione culturale di prim’ordine, che lo rende capace di interagire garbatamente e lucidamente con ogni componente della società.

Della sua umanità, intelligenza e competenza si giova anche la Conferenza Episcopale Italiana, che, oltre alla vice presidenza, gli affida la guida della Commissione per l’ecumenismo e il dialogo interreligioso. In quell’ambito si spende generosamente partecipando a numerosi incontri di preghiera e di studio; stabilisce eccellenti rapporti con le autorità religiose valdesi e riformate, e con quelle del mondo ortodosso. Accoglie a Perugia l’arcivescovo Kirill, che dopo qualche anno diventerà patriarca di Mosca. E io stesso sono stato testimone della fraterna accoglienza che gli riservò il patriarca rumeno Daniel a Bucarest durante la visita di noi vescovi umbri.

In questo momento mi piace ricordare i messaggi di cordoglio arrivati dal fraterno amico, il pastore valdese Archimede Bertolino, e dal mondo islamico di Perugia. Come pure da molte istituzioni ecclesiastiche. In primo luogo, la Conferenza Episcopale Italiana.

Il Vangelo delle beatitudini che abbiamo letto, e che lui prediligeva, ci ha richiamato alla vera realtà della vita cristiana. Sempre controcorrente, molto spesso costellata da sofferenze e affanni. Con all’orizzonte la beatitudine contraria al parere e al volere del mondo.

Gli ultimi anni sono stati segnati da problemi di salute, ma non privi del conforto della preghiera e degli amati studi, nei quali era, come in altri àmbiti, infaticabile. Si è spento lentamente, nel silenzio e nell’accettazione della volontà di Dio, come sempre nella sua vita. Aveva scritto nel testamento spirituale, qualche anno fa «Sta ormai avvicinandosi il tempo di concludere il mio viaggio su questa bella aiuola del creato (che ho amato e desiderato sempre più ricca di giustizia, di bontà, di onestà, di fraternità) per tornare alla patria definitiva: la “casa” e il “cuore” di quel Dio che Gesù mi ha fatto conoscere come Padre che ama e perdona. In questo Dio ho creduto e credo, ed ora spero di incontrarlo finalmente faccia a faccia e di vederlo così come egli è (1Gv3,2), svelandomi il suo volto che ho tanto desiderato conoscere: “il tuo volto, Signore, io cerco: non nascondermi il tuo volto!” (Sal 27).

Mi prenda per mano in questa trasferta, accompagnandomi nel tunnel del passaggio, la Vergine Maria, la mamma tenerissima di Gesù e madre della mia identità cristiana, del mio sacerdozio, del mio episcopato: Lei, augusta protettrice della diocesi di San Benedetto del Tronto-Ripatransone-Montalto come “Virgo Lauretana”, e dell’arcidiocesi di Perugia-Città della Pieve come “Mater gratiarum”… Mi accompagni anche il mio santo concittadino Giuseppe, per la cui migliore conoscenza mi sono a lungo adoperato. E con la sua ultima invocazione intendo chiudere anch’io la mia esistenza terrena: “Sancta Maria, succurre miseris!”. Intendo rinnovare anche alla fine l’offerta che fu della mia giovinezza: “Signore, ti do tutto. Ma tu dammi un sacerdozio splendido!”. Lui è stato di parola; io, forse, non sempre! E per questo torno a chiedergli di nascondermi nella ferita del suo cuore».

Mons. Chiaretti ci ha lasciati, come un padre lascia la propria famiglia, nell’amore e nella consapevolezza di aver fatto il possibile per quelli affidati al suo cuore. Sentiamo profonda riconoscenza verso quest’uomo umile, sincero e premuroso. Come fa un padre, sapeva anche correggere e farsi rispettare, ma era sempre alla ricerca dei figli. Sacerdoti, consacrati e laici hanno sperimentato la sua paternità e lo ricordano oggi in benedizione. La Chiesa di Perugia-Città della Pieve lo annovera nella successione apostolica, e lo consegna nelle braccia del Buon Pastore, innanzi al cui volto tutti, un giorno, desideriamo essere trasfigurati!