Ad ministeryum, non ad sacerdotium: messaggio di mons. Chiaretti nella solennità di S. Lorenzo diacono e martire, titolare della cattedrale di Perugia

S.E. Rev.ma Mons. Giuseppe Chiaretti

1. Oggi ricordiamo un campione della Chiesa di Roma, Lorenzo, diacono di papa Sisto II, la cui fama è celebre ovunque. Anche a Perugia, già romanizzata negli usi e nel costume, si volle intorno all’anno mille una chiesa in cima all’arce, dove erano ubicati gli antichi templi etruschi, dedicata a Lorenzo, ma con la cripta dedicata al grande defensor civitatis di Perugia, Ercolano, dal nome anch’esso squisitamente romano. La fama di Lorenzo era già leggenda non solo per il tipo di martirio, ma per la causa del martirio stesso, cioè l’amore ai poveri che erano la vera ricchezza della piccola chiesa di Roma. Quell’amore vince ogni ferocia, e vincerebbe anche quella di oggi (una ferocia, ovviamente, di ben altro spessore) se avessimo tanto amore ai poveri come Lorenzo e il suo maestro Sisto. Certe personalità sono fari di orientamento che ci indicano senza equivoci la strada privilegiata di Cristo. Che sia una strada privilegiata ce lo ha ricordato in una singolare citazione papa Benedetto nella sua prima enciclica Deus caritas est, allorché, parlando dell’imperatore romano Giuliano l’Apostata, nato cristiano ma tornato al paganesimo per gravi torti familiari subiti dall’imperatore cristiano Costanzo, narra l’unico motivo della sua ammirazione per i ‘galilei’ (i cristiani), e cioè la loro generosità nell’aiutare i poveri, tanto che volle che nella sua nuova religione pagana i sacerdoti raccogliessero viveri per i poveri come facevano gli odiati ‘galilei’! ‘Li si doveva emulare ed anche superare. L’imperatore in questo modo confermava che la carità era una caratteristica decisiva della Chiesa’ (DCE 24).

La carità, fatta con lo spirito e i modi di Cristo, è sempre la carta vincente, anche oggi. E la celebrazione eucaristica è il cuore pulsante della carità. Usa dire che si va in chiesa per lodare Dio ascoltando la sua Parola e ricevendo il suo Pane consacrato, e si esce dalla chiesa per servire i poveri, perché essi sono il terzo luogo dove si trova Cristo dopo la Parola e il Pane eucaristico. Dovrebbe verificarsi anche tra noi in ogni messa domenicale quel che capita di vedere a Lourdes, al termine della messa dell’alba nella chiesa del rosario, cui partecipano tutte le dame di carità e i barellieri: si vedono con piacere (e anche con un suggestivo effetto scenico) queste sorelle e questi fratelli sciamare dopo la messa dell’alba verso gli ospedali e le altre case di accoglienza, carichi di entusiasmo per servire i malati e i poveri. Così dovrebbe avvenire nelle nostre chiese ogni domenica.

I diaconi hanno questa loro carta di identità, ‘servitori dei poveri’, scritta nel nome comune diaconos: serviamo Cristo nei poveri e nei bisognosi.

Non dimenticate mai, carissimi, questa vostra connotazione fondamentale che è di per sé una connotazione di tutti i cristiani, papi, vescovi, e preti compresi, ma in maniera particolare caratterizza voi, perché la prima volta che i diaconi compaiono nei testi sacri è per servire alle mense degli ultimi di quel tempo, le vedove dei proseliti (Atti 6,1).

2. Poi, ovviamente, sono comparsi altri servizi, a cominciare con il diacono Filippo dalla prima evangelizzazione d’un pagano, il ministro della regina etiope che aveva il titolo di Candace (Atti 8,26-34), nonché l’evangelizzazione e la guarigione di malati in Samaria (Atti 8,4-8). Per questo servizio gli apostoli chiesero ‘uomini stimati da tutti, pieni di Spirito Santo e di saggezza’, e cioè dalla forte fede e di integra condotta, apprezzati dalla comunità'(Atti 6,3).

Ed è interessante vedere come nella Chiesa sia cresciuto questo servizio della parola nella evangelizzazione, che il Signore affidò poi a tutti i credenti nel giorno di Pentecoste donando loro lo Spirito Santo per annunciare e fare discepole tutte le nazioni, al punto che oggi non vanno più in missione solo religiosi e religiose, ma, con precisa intuizione di Giovanni Paolo II, famiglie intere con figli anche piccoli che lasciano casa, lavoro, sicurezze, amicizie, comodità.

Diaconi, quindi, come ministri anche della Parola ed evangelizzatori, e non soltanto come ministri della carità e dell’organizzazione ecclesiale in tutti suoi aspetti. Ecco perché il can. 236 del CIC chiede che i diaconi permanenti ‘siano formati a condurre una vita evangelica e siano preparati a compiere nel debito modo i doveri propri dell’ordine diaconale’; formazione spirituale solida e continuativa, alimentata dalla parola di Dio e dalla preghiera e stima condivisa.

In tale loro servizio è coinvolta in maniera diretta anche la moglie, che deve dare il suo consenso. Tutta la famiglia anzi diventa in qualche modo famiglia diaconale, chiamata a dare l’esempio di una vita cristiana bella e suggestiva.

Il tempo che stiamo vivendo ha bisogno di queste famiglie che nel piccolo sono già delle ‘chiese domestiche’, dove Dio e la fede cristiana sono messi al primo posto. Queste famiglie diaconali, come tutte le famiglie cristiane, vivono come il grano buono fianco a fianco con la zizzania. Per resistere a questo assedio di male occorre vivere sempre più insieme tra famiglie credenti, aiutandosi e incoraggiandosi reciprocamente. Da questo stile di vita non potrà non esserci una influenza, un contagio, un interrogativo che anche altre famiglie assenti dalla Chiesa, distratte, lontane si porranno. Dice un effato latino: ‘Bonum est diffusivum sui’, il bene si espande ovunque, non si può non rimanere toccati. Questo è vero anche nel nostro tempo, già previsto da Gesù, dove grano e zizzania convivono con la prepotenza della zizzania che succhia risorse anche al grano buono. Ma è del Signore il giudizio: a noi è chiesto altro, la coerenza della vita nella serenità e nella pace del comportamento e nella esemplarità e forza della testimonianza. Il Signore farà il resto.

3. Stiamo concludendo il Sinodo, questa grande esperienza di Chiesa che ci ha accompagnato per circa tre anni e ci ha fatto sentire la gioia e la fierezza di farne parte. È stato veramente ‘un aiuto autorevole al vescovo in ordine al bene di tutta la comunità diocesana’ (can. 460), in rapporto ai problemi che stiamo vivendo per far nascere una Chiesa adulta che sa preparare e responsabilizzare i suoi membri in ordine al problema dei problemi: l’evangelizzazione, adeguata alle necessità del tempo presente, fatta di annuncio e formazione in tutti i modi possibili.

Ringrazio voi, carissimi diaconi, per tutto il bene che già fate e che continuerete a fare nelle parrocchie e nelle unità pastorali dove andrete a servire. Vi assista e vi protegga Lorenzo, uno dei quattro diaconi della Chiesa romana martirizzati dell’imperatore Valeriano insieme al papa Sisto II. La Chiesa non fu allora distrutta, perché vive in lei lo Spirito Santo che la anima e la guida; e le porte degli inferi non prevarranno né oggi né mai, come non prevalsero allora e in altri tempi difficili. Nolite timere! Non abbiate paura!